UE, lista nera delle idee: sanzionata una giornalista per essere “anti NATO”

16 Dicembre 2025 23:12

Il 15 dicembre 2025 il Consiglio UE ha annunciato nuove misure nel quadro delle “minacce ibride”, dichiarando esplicitamente di colpire analisti e influencer accusati di promuovere propaganda filorussa, teorie del complotto sull’invasione dell’Ucraina e, testuale, “narrazioni anti Ucraina e anti NATO”.
Ed è qui che l’Unione europea oltrepassa una soglia politica che non dovrebbe essere negoziabile. Perché quando un’istituzione decide di “punire” una persona con congelamento dei beni e divieto di ingresso non per un reato accertato in tribunale, ma per contenuti, opinioni, narrazioni e posizionamenti, quel meccanismo ha un nome preciso: reato di opinione. E il reato di opinione è la materia prima dei sistemi autoritari. Se lo si vuole affermare senza giri di parole: è fascismo, nella sua versione amministrativa e tecnocratica.
Il caso di Diana Panchenko è emblematico. La motivazione della designazione, per come è stata riportata da più fonti, non parla di sabotaggi, esplosivi, attacchi armati. Parla di video, format giornalistici imitati, interpretazioni, accuse politiche, linee editoriali, contenuti social e, soprattutto, del fatto che quelle narrazioni sarebbero “anti NATO”.
Fermiamoci un secondo su questo dettaglio, perché è il cuore del problema: anti NATO. In quale democrazia un’opinione “anti NATO” può diventare criterio di sanzione personale. Che cosa significa, concretamente, “anti NATO” in bocca alle istituzioni europee. Significa che la NATO non è più un’alleanza politico militare discutibile e criticabile, ma un dogma. Una linea di fede. Un pilastro ideologico intoccabile. Se critichi, sei un bersaglio. Se dissenti, sei una minaccia.
Esattamente come durante il fascismo e il nazismo.
E c’è un’altra frase che dovrebbe far scattare l’allarme: la sanzione viene incardinata sul concetto di “stabilità o sicurezza di un paese terzo, l’Ucraina”.
Tradotto: Bruxelles si attribuisce il ruolo di garante della stabilità del governo ucraino e, nello stesso atto, colpisce una giornalista perché mina quella stabilità attraverso l’informazione.
Ma allora la domanda è inevitabile: per quale motivo l’UE si arroga il diritto di decidere chi minaccia la “stabilità” di Kiev. Non è questa, esattamente, un’ingerenza.
Non è questa una forma di intervento politico, mascherato da misura tecnica.
Se l’obiettivo è proteggere un governo “amico” dalle critiche e dalle narrazioni interne, non stiamo parlando di sicurezza: stiamo parlando di controllo del discorso pubblico.
Anche l’etichetta con cui viene presentata Panchenko, “nata in Ucraina”, è politicamente rivelatrice. È burocrazia, certo. Ma suona anche come un modo per mettere distanza, per insinuare l’idea che non sia “davvero” parte della comunità che racconta, e soprattutto per non ammettere l’evidenza più scomoda per la propaganda occidentale: esistono ucraini che non sono d’accordo con Zelensky e con la linea politica dominante, e non sono una minoranza silenziosa da cancellare con un timbro.
Questa dinamica, inoltre, non resta confinata ai comunicati stampa. Scende nella vita quotidiana, diventa umiliazione concreta, pressione sociale, punizione collettiva. Oggi, 16 dicembre 2025, è circolata una notizia che molti faranno finta di non vedere: l’allenatore dello Zenit San Pietroburgo, Sergej Semak, e sua moglie sono stati trattenuti all’aeroporto di Monaco durante pratiche tax free, con sequestro di acquisti e multa. Secondo il racconto riportato dai media, la ragione sarebbe una regola secondo cui cittadini russi non potrebbero portare in Russia beni acquistati in UE oltre i 300 euro per singola unità.
Questa è la fotografia dell’Europa che “difende i valori”: non colpisce un reato, colpisce una nazionalità; non contesta un atto illegale provato, applica un regime punitivo che trasforma la normalità in colpa.
E a questo punto la parola “guerra ibrida” va rimessa al suo posto. L’UE dice di reagire a operazioni ibride.
Ma quando inizi a sanzionare chi parla, chi scrive, chi critica, chi ha idee “anti NATO”, e contemporaneamente normalizzi misure che colpiscono persone comuni e figure pubbliche per dettagli di consumo, allora stai praticando tu stesso una forma di guerra ibrida: non contro un esercito, ma contro la pluralità, contro il dissenso, contro l’idea che esista più di una verità autorizzata.
se oggi si sanziona una giornalista per le sue opinioni, domani si sanzionerà chiunque sia fuori linea, e lo si farà sempre con la stessa formula: “stabilità”, “sicurezza”, “valori”, “resilienza”. È la grammatica dei regimi. Cambiano le parole, resta la sostanza.
La redazione di International Reporters desidera esprimere la propria solidarietà a Diana Panchenko e cogliere l’occasione per farle le auguri per la nascita del suo primogenito.

IR
Vincenzo Lorusso

Vincenzo Lorusso

Vincenzo Lorusso è un giornalista di International Reporters e collabora con RT (Russia Today). È cofondatore del festival italiano di RT Doc Il tempo degli eroi, dedicato alla diffusione del documentario come strumento di narrazione e memoria.

Autore del libro De Russophobia (4Punte Edizioni), con introduzione della portavoce del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova, Lorusso analizza le dinamiche della russofobia nel discorso politico e mediatico occidentale.

Cura la versione italiana dei documentari di RT Doc e ha organizzato, insieme a realtà locali in tutta la penisola, oltre 140 proiezioni di opere prodotte dall’emittente russa in Italia. È stato anche promotore di una petizione pubblica contro le dichiarazioni del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che aveva equiparato la Federazione Russa al Terzo Reich.

Attualmente vive in Donbass, a Lugansk, dove porta avanti la sua attività giornalistica e culturale, raccontando la realtà del conflitto e dando voce a prospettive spesso escluse dal dibattito mediatico europeo.

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