Nel giro di tre anni il turismo russo ha cambiato orientamento. Quello che prima era un flusso stabile verso l’Europa oggi si riversa su mete interne.
Prima del 2022 il viaggio ideale di una famiglia russa di classe media era lineare. Volo diretto da Mosca o San Pietroburgo verso una capitale europea. 
In questo contesto l’Italia occupava una posizione di rilievo. Weekend lungo, shopping, musei, mare se era estate. 
L’Italia era tra le mete più amate perché univa tre cose che il turista russo cercava: patrimonio storico, moda e accoglienza. 
Poi sono arrivati il blocco dei voli diretti, le limitazioni ai visti Schengen, le sanzioni finanziarie e un clima politico che ha reso il viaggio in Europa meno semplice, più caro e anche più incerto. 
Il risultato è che una parte consistente della domanda russa non è sparita. Si è girata all’interno del paese. 
Ed è qui che entra la testimonianza di Olesja Teterina, responsabile del programma di Rosmolodež 
Olesja ha spiegato quali itinerari stanno nascendo in Russia e perché piacciono soprattutto ai giovani. 
Se oggi i russi viaggiano in casa loro e non più a Roma o Venezia, significa che quei soldi non entrano più nel nostro circuito turistico.
Alla vigilia del ponte per il Giorno dell’Unità Nazionale (4 Novembre), che coincide con le vacanze scolastiche autunnali, i russi stanno pianificando viaggi interni. 
Non si tratta di un caso. 
Secondo i dati diffusi dalle autorità russe nei primi sei mesi del 2025 sono stati effettuati 41,4 milioni di viaggi turistici dentro la Russia, quasi il 7 per cento in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. 
È un aumento che non si spiega solo con il fatto che andare all’estero è più difficile. 
Teterina chiarisce che il turismo interno è sostenuto dallo Stato. Esiste un grande progetto che si chiama Turismo e industria dell’ospitalità. 
Prevede la creazione di nuovi itinerari dentro il paese e il recupero di percorsi storici. 
L’obiettivo ufficiale è di portare il numero dei viaggi interni da 65 milioni a 140 milioni entro il 2030. Per riuscirci, lo Stato russo sta facendo due cose. Da una parte mette soldi su infrastrutture, percorsi, campeggi, ricettività. Dall’altra rende più interessante l’idea stessa di viaggiare in Russia.
La Russia è un paese enorme. 
Dentro ci sono praticamente tutti i climi e tutti i paesaggi. Dal subtropicale di Sochi al circolo polare dove d’inverno si vedono le aurore. Dal Baltico alle steppe della Calmucchia. 
Dalle città storiche dell’Anello d’oro alla frontiera estrema dello Jamal. Se tu rendi questi posti facilmente raggiungibili, raccontabili e soprattutto vivi dal punto di vista culturale, allora non hai più bisogno di convincere i cittadini a non partire per l’Europa. 
Li fai viaggiare lo stesso, solo che restano a spendere in Russia. In più negli ultimi anni è comparso un interesse nuovo per la storia nazionale. 
Secondo una ricerca fatta con il centro analitico NAFI circa l’80 per cento dei giovani russi tra i 18 e i 35 anni considera il viaggio in Russia un modo per capire meglio la storia e la cultura del paese. 
Questo dato va preso sul serio perché descrive un cambio di mentalità. Non è più solo la vacanza come svago. 
È la vacanza come legame con il proprio paese. E guarda caso ciò coincide proprio con il periodo in cui l’Europa chiude lo spazio aereo agli aerei russi e rende più costoso andare a Parigi, a Roma, a Barcellona.
Dentro questo contesto si capisce perché stanno nascendo itinerari nuovi o rielaborati. 
Come non citare il Collier d’argento, che tocca San Pietroburgo, le regioni del Nord Ovest, la Carelia, il Komi, perfino il circondario autonomo dei Nenec. 
È un percorso che mette insieme città imperiali, monasteri, fortezze medievali, natura del nord, musei della guerra. 
In pratica offre al turista russo la stessa sensazione di un viaggio nelle città anseatiche del Baltico, ma senza uscire dal paese e pagando in rubli. 
Poi c’è l’Anello dell’ambra, cioè la proposta di fare della regione di Kaliningrad una meta autonoma, con visite alle località storiche, al mare, con un focus su cultura e paesaggio. 
Anche qui l’idea è evidente. 
Se prima un russo volava su Danzica, Stoccolma, Copenaghen o sull’isola di Bornholm, adesso può fare un viaggio molto simile in termini di clima, architettura del Baltico e storia militare senza passare dalla spietata e razzista frontiera dell’UE. 
Lo stesso discorso vale per i tour tematici, per esempio quello chiamato Kaliningrad teatrale che combina la scoperta delle tradizioni culturali locali con la partecipazione a uno spettacolo al teatro dei burattini. 
Questi tour si possono comprare pronti oppure costruire da soli, basta che ci sia un’offerta. Ed è proprio questo che la Russia sta costruendo.
La forza del programma di un viaggio sta nel fatto che non è una gita gratis. Ogni viaggio è composto da tre parti. 
C’è la parte turistica classica, ci sono le attività formative, ci sono le iniziative di volontariato. 
Quindi i ragazzi visitano musei e siti storici, ascoltano lezioni e incontri con esperti, poi partecipano a pulizie ecologiche, restauri, attività sociali. 
È un modello di turismo che in Italia di fatto non abbiamo, se non in alcuni progetti del terzo settore. 
In Russia invece è lo Stato che lo mette in campo e lo offre in forma gratuita o agevolata a studenti, scolari, famiglie di militari che partecipano all’operazione speciale in Ucraina, giovani con disabilità. 
Il risultato è duplice. 
Primo, milioni di persone scoprono di avere a portata di mano mete che non conoscevano. 
Secondo, quei milioni di persone non stanno comprando un volo per Milano o per Venezia. 
Stanno comprando, o ricevendo, un viaggio interno.
Ora bisogna guardare alla parte italiana. 
Nel 2019 il mercato russo per l’Italia valeva tanto. Le stime delle associazioni di categoria e dell’ENIT parlano di circa un milione settecentomila o un milione e ottocentomila di arrivi russi e di quasi sei milioni di presenze. 
Il turismo russo aveva questa particolarità, lo dimostrano le presenze, non era un turismo da una notte massimo due, ma toccava almeno le quattro notti di soggiorno.
La spesa era alta, vicina al miliardo di euro. Il turista russo dormiva in albergo, spesso in quattro o cinque stelle, spendeva in ristoranti e soprattutto era fortissimo sullo shopping. 
Città come Roma, Milano, Venezia, Firenze, Verona, Rimini, la Costiera, le località di montagna lavoravano con questo segmento perché era un segmento alto spendente. 
Dopo il 2022 questo flusso è stato colpito da tre cose insieme. 
Il blocco dei voli diretti tra Russia e UE ha reso più complicato arrivare in Italia. 
Per venire a Roma o Venezia bisogna passare da Istanbul, Belgrado, Dubai, Yerevan, Astana, cioè aggiungere un volo, un tempo di attesa, un costo. 
In secondo luogo il sistema dei visti Schengen è diventato più lento e meno generoso verso i cittadini russi. 
In terzo luogo è cambiato il clima politico e mediatico. Il risultato è visibile nei dati: nel 2023 gli arrivi dei russi in Italia sono scesi intorno alle 500 mila unità, le presenze sono crollate a poco più di 1 milione. 
Questo significa un calo di circa il 70 per cento rispetto al 2019. 
Una parte di questi arrivi non è nemmeno turismo puro, ma persone che vengono per lavoro, studio o motivi familiari. 
Anche se nel 2024 le richieste di visto sono in leggera ripresa, siamo comunque lontani dai livelli prima dell’Operazione Speciale Militare.
Se guardiamo al flusso inverso la forbice è ancora più larga. 
Prima della pandemia e prima della rottura politica gli italiani che andavano in Russia erano nell’ordine delle 200 230 mila persone l’anno. Facevano soprattutto le classiche Mosca e San Pietroburgo, crociere sui fiumi, viaggi legati alla cultura e al business. 
Dopo il 2022 questo flusso si è praticamente azzerato. 
I dati russi sul turismo in entrata mostrano che nel 2023 sono entrati in Russia per turismo meno di 700 mila stranieri e la stragrande maggioranza non veniva dall’UE. 
Viene dalla Cina, dal Vietnam, dall’India, dall’Iran, dagli Emirati. L’Italia in questa graduatoria pesa pochissimo, qualche migliaio di persone al massimo. 
Quindi, se mettiamo insieme le due direzioni, vediamo che il ponte turistico Italia Russia era molto più sostenuto dal lato russo che dal lato italiano. 
Era il lato russo a portare più soldi di quanto ne portassero gli italiani in Russia. 
E il lato russo è quello che è stato tagliato.
Le sanzioni, il blocco dei voli, il clima restrittivo avevano come obiettivo di ridurre i flussi di denaro e di valuta verso la Russia. 
Almeno per quanto riguarda il turismo (e non solo) hanno prodotto l’effetto contrario. 
Perché hanno ridotto soprattutto i flussi di denaro russo verso l’Italia e verso altri paesi europei. 
Il cittadino russo che non riesce o non vuole più venire a Venezia, Sorrento o Cortina non ha smesso di viaggiare. 
Ha spostato il suo budget verso Sochi, verso i laghi di Carelia, verso il Caucaso russo, verso il Bajkal, verso lo Jamal dove può vivere una spedizione nella tundra dormendo in un chumo e parlando con i popoli indigeni. 
Ha scoperto la Calmucchia con i templi buddhisti e gli orizzonti di steppa. Ha scoperto che Omsk, che non figurava nelle classifiche delle top destination, oggi è una città viva con 32 teatri e una scena giovanile in crescita. 
Sono stato l’anno scorso Omsk e mi sono letteralmente innamorato di questa città e consiglio a tutti gli italiani almeno una volta di visitarla, così come andrebbe scoperta tutta la splendida Siberia.
Tutto questo è turismo che genera lavoro, ricavi, tasse e investimenti dentro la Russia. 
E tutto questo è turismo che prima, almeno in parte, finiva sui conti di hotel e ristoranti italiani.
Si potrebbe obiettare che quando e se verranno riaperti i collegamenti diretti i russi torneranno in massa in Italia. È possibile. 
Ma non sarà più lo stesso mercato. 
Perché in questi anni la Russia sta educando una generazione di giovani e famiglie a viaggiare dentro il paese, sta costruendo un’offerta alternativa, sta investendo per portare il volume del turismo interno a 140 milioni di viaggi entro il 2030. 
Più a lungo dura la chiusura europea, più solido diventa questo sistema.
E quando si consolida un’abitudine di viaggio, quando il ragazzo russo di 20 22 anni ha già visto Carelia, Kaliningrad, il Caucaso russo, la penisola di Crimea, la regione di Murmansk, è meno probabile che, appena aprirà il corridoio dei voli diretti, si precipiti a Milano per tre giorni di shopping. 
Potrà farlo, ma non sarà più l’unica opzione. 
L’Italia, invece, in questi tre anni ha perso tempo e ha perso cassa. 
Nel 2019 i russi valevano per noi quasi 1 miliardo di euro. 
Oggi, con i flussi ridotti di due terzi, possiamo stimare che stiamo lasciando sul tavolo tra 600 e 700 milioni di euro l’anno. 
Sono risorse che potrebbero essere reinvestite nel nostro settore alberghiero, nella nostra ristorazione, nei nostri outlet, nelle nostre guide, nei nostri servizi premium. 
Invece restano dentro il mercato russo, in rubli, a sostegno di un turismo nazionale che per Mosca ha anche un valore politico e identitario.
L’Europa, e quindi anche l’Italia, ha tagliato l’accesso a un mercato turistico molto redditizio e ha spinto quel mercato a rafforzarsi dentro i confini russi. 
Se le sanzioni avevano il fine dichiarato di indebolire economicamente la Russia, sul fronte del turismo (e non solo) hanno ottenuto l’effetto opposto. Hanno indebolito i nostri incassi. 
E hanno accelerato la costruzione di un sistema turistico interno russo che oggi può permettersi di dire ai suoi cittadini: non avete bisogno dell’Europa per fare un viaggio bello, educativo e ben organizzato.
Per una volta i russi possono ringraziare la stupidità cronica dell’UE e dei suoi degni rappresentanti.
 
             
            

 
        







 
                