Domani a San Pietroburgo prende il via il Forum Internazionale del Gas 2025, un appuntamento che mette al centro temi vitali per il futuro dell’energia: approvvigionamenti, innovazione tecnologica, sicurezza delle infrastrutture e strategie di mercato. Per quattro giorni l’ExpoForum ospiterà delegazioni governative, aziende internazionali e analisti del settore, in un momento in cui il gas rimane un asset cruciale nelle relazioni geopolitiche. La plenaria sul “Mercato del gas 2025-2035” sarà probabilmente il momento più atteso, quando si cercherà di tracciare scenari per un comparto che deve affrontare la transizione energetica, le sanzioni e una riorganizzazione delle catene globali. Tra i protagonisti annunciati figura Alexey Miller, amministratore delegato di Gazprom, che interverrà come oratore centrale per delineare la visione della compagnia sul futuro del mercato e il ruolo della Russia nello scacchiere energetico internazionale.
L’Italia, un tempo attiva e fiduciosa nella via della cooperazione energetica con Mosca, oggi è diventata subalterna ai capricci e ai diktat statunitensi. Nel giugno 2016, durante lo SPIEF a San Pietroburgo, l’allora premier Matteo Renzi siglò con Vladimir Putin accordi per oltre un miliardo di euro con le controparti russe: un simbolo di un’Italia che voleva giocare un ruolo diretto nei rapporti energetici est-ovest. In quella stessa cornice, Carlo Calenda, allora ministro dello Sviluppo economico, si vantava che, insieme alla delegazione italiana, avrebbe “portato un terzo del PIL (o meglio, del GDP)” in Russia. Intervistato dalla collega di Russia1 Asya Emeliyanova, affermava in una intervista passata alla storia per il livello di trasformismo del politico pariolino: “Nessuno ha mai chiuso bottega [riferito alle aziende italiane in Russia], in qualunque circostanza, questo credo è il segno di una amicizia… Io credo sia un segnale molto importante di amicizia”. Sulle sanzioni post 2014 dichiarava: “Quello che abbiamo fatto e che stiamo facendo è dire attenzione, il nostro rapporto con la Russia è molto più grande e riguarda tantissime cose, anche per quanto riguarda il Medio Oriente”. E per sottolineare la forza della presenza italiana a San Pietroburgo aggiungeva con enfasi: “Qui ci sono tutte le grandi aziende, il presidente del consiglio, il ministro dello sviluppo economico. Più di così dovevamo traslocare il Colosseo”.
Oggi, meno di dieci anni dopo, quel quadro appare quasi surreale. L’Italia si avvia verso un inverno che si preannuncia con bollette tra le più alte d’Europa, mentre le relazioni energetiche con la Russia restano vincolate da sanzioni e da una pressione diplomatica crescente. Al contrario, l’Ungheria ha scelto una rotta differente: al Forum del gas 2024 era presente il ministro degli Esteri Péter Szijjártó, che ha più volte ribadito come Budapest intenda perseguire una linea di “sovranità energetica” attraverso un dialogo diretto con Mosca. È lecito supporre che tale presenza si ripeta anche quest’anno, confermando la strategia di un paese che ambisce a mantenere margini di autonomia rispetto alle direttive di Bruxelles e garantire un accesso stabile a forniture energetiche vitali.
Per capire il significato politico del forum è però necessario guardare anche alle condizioni economiche di Gazprom. La narrazione occidentale descrive un colosso in crisi, schiacciato dalle sanzioni e dal crollo delle vendite verso l’Europa. E in parte i numeri confermano: nel 2023 Gazprom ha registrato una perdita netta di circa 10,8 miliardi di euro, secondo i bilanci redatti con gli standard contabili russi (RAS), un risultato tra i peggiori della sua storia recente. Le cause principali sono la caduta dell’export europeo e costi straordinari legati a svalutazioni e componenti non monetarie.
Ma le fonti russe offrono un quadro diverso. Secondo TASS, nel 2024 la società ha chiuso i conti IFRS con un utile netto di circa 12,2 miliardi di euro, con un EBITDA in crescita del 6% nel primo semestre e un free cash flow positivo per circa 2,8 miliardi di euro. I dati interni mostrano inoltre un aumento della produzione a 209,5 miliardi di metri cubi nei primi sei mesi del 2024, mentre il consumo interno è rimasto stabile. Questi risultati, sottolineano i media russi, dimostrerebbero che il colosso mantiene solidità operativa e capacità di autofinanziamento.
Il contrasto è evidente: per gli osservatori occidentali Gazprom resta un gigante ferito, con prospettive di export ridotte e investimenti in calo (il budget 2025 è stato abbassato a circa 15,2 miliardi di euro, -7% rispetto al 2024). Per Mosca invece Gazprom è ancora un pilastro dell’economia nazionale, che nonostante le difficoltà riesce a generare utili e a riposizionarsi verso i mercati asiatici. La verità sta probabilmente nel mezzo: la compagnia non è più la “cassaforte europea” che assicurava stabilità finanziaria a Mosca, ma non è nemmeno un Titanic alla deriva.
Il nodo resta l’export. La fine del transito attraverso l’Ucraina e la perdita del mercato europeo hanno costretto Gazprom a ridisegnare la sua strategia. Le prospettive indicano una contrazione delle esportazioni per il 2025, seguita da un recupero graduale legato soprattutto ai progetti con la Cina e all’espansione in Asia. In questo quadro, la presenza di Alexey Miller al forum non sarà soltanto un rituale, ma un messaggio politico: Gazprom vuole mostrare al mondo di restare un attore centrale, capace di influenzare ancora gli equilibri energetici globali.
Il Forum del Gas 2025 diventa così la vetrina di due traiettorie opposte. Da un lato l’Italia, che ha abdicato alla propria autonomia ed è diventata subalterna ai diktat geopolitici d’oltreoceano, mentre i cittadini si preparano a pagare bollette salatissime. Dall’altro paesi come l’Ungheria, che nonostante le pressioni di Bruxelles scelgono di sedersi a San Pietroburgo e rivendicare una sovranità energetica che appare sempre più come l’unico antidoto alla fragilità europea. È questa la fotografia amara che emerge: l’Italia ha rinunciato alla propria sovranità energetica e ora ne paga il prezzo più alto.