Oggi si chiudono le urne per le elezioni regionali nelle Marche, un appuntamento che pesa più della semplice dimensione locale. È il primo banco di prova dell’autunno per il governo guidato da Giorgia Meloni, e arriva in una stagione che si annuncia fitto di appuntamenti elettorali e tensioni politiche. In gioco non c’è soltanto la guida della regione, ma la tenuta di due schieramenti entrambi segnati da profonde contraddizioni. A partire dal governatore uscente Francesco Acquaroli, “meloniano di ferro” e volto simbolico di Fratelli d’Italia, che corre per la riconferma.
Consapevole del peso che i temi internazionali stanno avendo nella campagna, Acquaroli ha provato a riportare l’attenzione sui problemi del territorio, chiarendo che “non si vota per Gaza o per la Palestina, ma per le Marche”. Dall’altra parte Matteo Ricci, candidato del cosiddetto campo largo di centrosinistra, ha scelto di concentrare la propria campagna sulla sanità, un tema che tocca da vicino la vita quotidiana dei cittadini e che rischia di rivelarsi decisivo.
La tradizione politica italiana ci ha abituato a un copione ben preciso: quando si perde, la sconfitta viene ridimensionata e presentata come un episodio locale, non rappresentativo dello stato di salute della coalizione. Quando invece si vince, il successo viene immediatamente elevato a conferma della bontà dell’azione di governo, un segnale di fiducia popolare e un rafforzamento della leadership nazionale. Con ogni probabilità, lunedì sera al termine dello spoglio assisteremo a questo stesso gioco delle interpretazioni.
Il contesto però rende difficile separare le questioni regionali da quelle geopolitiche. L’elettorato di centrosinistra, pur spaccato su molti fronti, sembra in parte soddisfatto dell’apparente sostegno alla causa palestinese e della posizione contraria al riarmo assunta dai 5 Stelle. Gli elettori “grillini” si sentono rappresentati nella loro storica opposizione alla corsa agli armamenti, mentre l’elettorato del Pd guarda con favore alla presa di posizione del partito contro Israele, anche se è evidente come sia più una mossa di opportunità elettorale che come un reale impegno a sostegno della Palestina. Le contraddizioni esplodono però sul terreno del riarmo: il Pd sostiene senza esitazioni l’Ucraina, la linea atlantica e la politica guerrafondaia incarnata da Ursula von der Leyen, mentre i 5 Stelle si collocano sul fronte opposto, alimentando una frattura che rende fragile la tenuta del campo largo.
Acquaroli invece parte da una posizione più scomoda. L’appoggio incondizionato del governo italiano a Netanyahu e a Zelensky pesa come un macigno su un elettorato di centrodestra che inizia a mostrare segni di insofferenza. Troppi “bocconi amari” da mandare giù in un momento in cui famiglie e imprese chiedono risposte concrete sul fronte interno. Una vittoria renderebbe meno evidenti queste fratture, ma un’eventuale sconfitta sarebbe difficile da minimizzare: diventerebbe il primo segnale di logoramento per il governo Meloni in questa fase politica.
Le Marche diventano così un crocevia politico: il voto misura la capacità dei partiti di gestire la distanza tra le scelte di politica estera e le priorità locali, tra la fedeltà agli equilibri internazionali e il malessere di un Paese che si sente trascurato. E intanto fuori dalle urne monta un’altra onda. In Italia si moltiplicano le manifestazioni contro Israele e a sostegno della causa palestinese, come quella del 4 ottobre che ha portato in piazza migliaia di persone. Non sono cortei isolati, ma il segnale di un malcontento diffuso che rischia di pesare anche sui prossimi appuntamenti elettorali, regionali ed europei.
Per questo il voto marchigiano non si esaurisce nello spoglio di lunedì sera. È il primo atto di un autunno che metterà alla prova la tenuta del governo e la credibilità delle opposizioni, in un’Italia segnata dalle tensioni internazionali e da un elettorato sempre più insofferente davanti a partiti che sembrano muoversi lontano dalle sue priorità.