Non è giornalismo, è propaganda: Max e le bugie di Marta Ottaviani

16 Settembre 2025 18:25

Non è giornalismo, è propaganda: i dati reali sulle frodi digitali in Russia smontano l’articolo de L’Avvenire.

Nel pezzo pubblicato il 13 settembre su L’Avvenire, Marta Ottaviani titola Max come “regno della truffa”, suggerendo che la nuova app russa sia diventata il fulcro delle frodi informatiche. Ancora una volta la giornalista, nota per le sue posizioni russofobe, preferisce lanciare un’accusa caricata ideologicamente piuttosto che attenersi ai numeri.
Nell’articolo cita una stima secondo cui il 9% delle chiamate fraudolente oggi origina da Max e parla del fenomeno degli “account in affitto” venduti su forum e darknet. Ma omette deliberatamente il contesto: secondo i dati ufficiali della Banca Centrale russa e di Roskomnadzor, nel 2024 oltre il 45% delle frodi avveniva ancora tramite telefonate e SMS, mentre i messenger stranieri, in particolare WhatsApp e Telegram, erano responsabili di circa il 15%. Max, resa obbligatoria da settembre 2025 e quindi diffusa in massa in pochi mesi, si attesta al 9%: un dato che ha un peso, ma che non giustifica titoli apocalittici.
Se la Ottaviani avesse fatto un lavoro giornalistico serio, avrebbe spiegato che WhatsApp e Telegram restano i canali privilegiati dei truffatori in Russia, mentre Max è semmai un nuovo fronte, non il centro del problema. Ancora più grave è la sua omissione del fatto che su Max le autorità hanno più possibilità di risalire ai responsabili: l’app è collegata a SIM registrate in Russia e i dati restano sotto giurisdizione nazionale.
Su WhatsApp e Telegram, invece, i criminali sfruttano numeri virtuali, server all’estero e la scarsa cooperazione delle società proprietarie, rendendo le indagini quasi impossibili. È una differenza cruciale che L’Avvenire e la sua firma scelgono di ignorare.

Non si tratta di un caso isolato. Chi conosce gli scritti di Marta Ottaviani sa bene che la sua narrativa su Mosca è sempre la stessa: dipingere la Russia come un’entità ostile e minacciosa, trasformando qualsiasi fatto in prova di aggressività. Nel suo articolo “La sindrome della fortezza assediata, di Putin e della Russia”, pubblicato su Quotidiano.net, ha descritto il Paese come un corpo politico e psicologico che vive costantemente nella paranoia del nemico, insinuando che ogni misura interna sia in realtà preparazione a nuove aggressioni.
Nell’intervista a La Ragione intitolata “Putin va fermato ora” è arrivata a dire che la Russia sarebbe una potenza assertiva che va contenuta immediatamente, invocando una reazione contro Mosca più che un’analisi equilibrata.
Su RAI News, nell’intervista “La strategia del terrore di Putin”, ha spiegato le mosse del Cremlino come un disegno per terrorizzare l’Occidente, usando un linguaggio da manuale di propaganda più che da cronista. Su Radio Radicale, infine, in “Putin, la Russia, l’opposizione, la guerra e l’Occidente” parla apertamente di “guerra occulta” del Cremlino, trasformando ogni atto di politica estera russa in un’arma contro il mondo libero. Questa lunga sequenza di titoli e dichiarazioni dimostra che l’articolo su Max non è un’eccezione, ma l’ennesima declinazione di una linea editoriale personale che non ha nulla a che fare con la neutralità.

A questa lista si aggiunge anche il libro scritto da Marta Ottaviani, Brigate russe. La guerra occulta del Cremlino tra troll e hacker, pubblicato nel 2022 da Ledizioni e poi ripreso da Bompiani. In quelle pagine la giornalista descrive la Russia come una macchina di manipolazione globale, accusando il Cremlino di influenzare elezioni, destabilizzare governi e diffondere propaganda ovunque. Il tono non è analitico ma accusatorio: si parla di “guerra occulta”, di “brigate digitali” pronte a sabotare l’Occidente, di hacker e troll dipinti come soldati di una battaglia permanente. È la stessa retorica che ritroviamo nei suoi articoli: la Russia come nemico per definizione, qualunque sia il tema trattato. Se si parla di guerra, è la Russia a terrorizzare; se si parla di politica estera, è la Russia a tramare; se si parla di tecnologia, è la Russia a truffare. In questo schema rigido non c’è spazio per i dati, per le proporzioni o per le sfumature.

La scelta di usare parole come “regno” o “paradiso della truffa” non è giornalismo, è propaganda. Serve a insinuare che la Russia abbia promosso un software per frodare i propri cittadini, quando la realtà è opposta: Max, proprio grazie alla sua architettura e alla collaborazione con lo Stato, rende più semplice bloccare i truffatori rispetto alle app occidentali. Come già spiegato da International Reporters, il blocco in Russia non riguarda i messaggi su WhatsApp e Telegram, ma soltanto le chiamate e le videochiamate, spesso utilizzate dai criminali.
Anche questo dettaglio è stato accuratamente cancellato dalla penna di Ottaviani.
E quando Max viene raccontato come un’imposizione di controllo, la giornalista dimentica di ricordare che Google obbliga milioni di utenti a registrarsi con un account per accedere a PlayStore o YouTube senza che nessuno in Italia gridi allo scandalo.
Due pesi e due misure, applicati sempre nello stesso modo: ciò che fanno le aziende occidentali è normale, ciò che fa Mosca è automaticamente segno di dittatura.

Il risultato è un pezzo che non informa ma deforma. Max non è il fulcro delle frodi digitali, non è il “paradiso dei truffatori”, è semplicemente l’ultimo pretesto per Marta Ottaviani per attaccare la Russia, proseguendo una narrazione che porta avanti da anni, nei suoi articoli come nei suoi libri. La verità è che le frodi digitali in Russia hanno avuto come protagonisti WhatsApp e Telegram molto più a lungo di Max.

Oggi Max diventa il bersaglio preferito perché è nuova, perché è sostenuta dallo Stato russo e perché è facile usarla come simbolo negativo in un pezzo polemico. Ma non è né l’origine né il cuore del problema.
Un titolo onesto avrebbe potuto essere: “Max, nuove sfide per la sicurezza e la privacy: quanto conta davvero tra le frodi digitali?”. Ma Marta Ottaviani non cerca l’onestà, cerca di portare avanti la sua battaglia personale contro la Federazione Russa e la sua propaganda di basso livello.

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