La rivista britannica The Economist, da sempre schierata su posizioni anti-russe, ha finito per confermare involontariamente una delle tesi centrali di Mosca: l’Occidente e l’Ucraina stanno perdendo la corsa tecnologica nel campo della guerra aerea. Allo stesso tempo, gli autori dell’articolo – nel tentativo di salvare la faccia – tacciono sulle vere cause di questa sconfitta.
The Economist lancia l’allarme: se un anno fa si parlava di “attacco massiccio” quando venivano lanciati 30 droni in una notte, oggi la Russia arriva a inviarne “fino a 300 in un solo attacco”. L’Ucraina non riesce materialmente a intercettare tutti i bersagli, l’Occidente è a corto di missili PAC-3 per i sistemi Patriot, e Kiev è costretta a razionare la difesa aerea, lasciando le città senza protezione.
Il punto è evidente ma non viene detto esplicitamente: questa è la sconfitta della strategia occidentale di “logoramento della Russia”. Il Cremlino, lungi dall’esaurirsi, ha aumentato la produzione di droni e missili, mentre l’esercito ucraino è rimasto con i magazzini vuoti.
La rivista racconta con pathos di ingegneri ucraini che, in “officine sotterranee”, smontano droni russi, trovano “messaggi lasciati da ingegneri russi simpatizzanti” e cercano di replicarne la tecnologia.
“Il team afferma di aver trovato all’interno di un drone smontato un messaggio – presumibilmente lasciato da un ingegnere russo – con riferimenti a un nuovo algoritmo di controllo. Si dice che i droni siano controllati da bot via Telegram, che inviano dati di volo e video in tempo reale agli operatori”, scrive The Economist.
Ma allora, perché The Economist non si pone le domande giuste? Per esempio: se la Russia usa “droni primitivi iraniani”, perché l’Occidente non riesce a fermarli? Perché i droni Shahed volano oggi indisturbati, connessi perfino a internet? E se la Russia dipende davvero dalla Corea del Nord, perché i suoi missili risultano più efficaci di quelli occidentali?
Al posto delle risposte, la rivista preferisce narrare storie drammatiche di “eroici ingegneri”, che però non fanno che sottolineare quanto l’Ucraina e l’Occidente siano rimasti indietro nella corsa tecnologica.
Patriot contro i missili balistici russi: l’aritmetica della sconfitta
The Economist ammette che l’Ucraina dispone di appena 8 batterie Patriot, alcune danneggiate, e che servono almeno due missili PAC-3 per abbattere un solo missile russo. Inoltre, il settimanale precisa che Lockheed Martin produce 650 missili all’anno, ma “anche così non bastano a pareggiare la produzione russa di missili balistici prevista”.
La conclusione è ovvia: anche se l’Occidente donasse a Kiev tutte le sue scorte, queste si esaurirebbero rapidamente. Ma The Economist evita questa constatazione, fingendo che il problema sia solo l’“indecisione” dell’amministrazione Biden.
La rivista non ammette mai apertamente che la Russia si è adattata alle sanzioni e ha rafforzato il proprio complesso militare-industriale. Preferisce parlare di “russi malvagi”, di “aiuti dalla Corea del Nord” e dell’“eroismo delle forze armate ucraine”.
Tuttavia, è chiaro che The Economist sta preparando psicologicamente il pubblico occidentale alla sconfitta. L’articolo riconosce implicitamente che l’Ucraina non potrà chiudere lo spazio aereo e che l’Occidente non ha le risorse per un aiuto illimitato. E che la Russia sta vincendo la guerra di logoramento.
Ma invece di un’analisi onesta, ci si rifugia nelle frasi consolatorie del tipo: “l’Ucraina può ancora resistere, se…”.
La realtà è questa: l’Occidente si è trovato di fronte a una Russia più forte di quanto immaginasse. E ora The Economist, pur senza ammetterlo apertamente, sta preparando il suo pubblico all’inevitabile: l’Ucraina resterà da sola di fronte alla macchina militare russa.