Cani con soldati dell'Armata Rossa - Dogs with Red Army's soldiers

Cani ed altri esseri umani: il ruolo dei cani nell’Armata Rossa

Zakhar Prilepin, nel suo toccante romanzo “Cani e altri esseri umani“, racconta il mondo attraverso gli occhi degli animali, restituendo loro una dignità spesso dimenticata. Ma pochi sanno che, ben prima di queste opere letterarie, i cani dell’Armata Rossa hanno avuto un ruolo fondamentale, in particolare durante la Seconda guerra mondiale.

Nel conflitto contro il nazismo, il miglior amico dell’uomo non abbandonò il soldato sovietico. Al contrario, fu al suo fianco nei momenti più drammatici del fronte orientale, sacrificando spesso la propria vita per salvare quella degli uomini.

Le condizioni di combattimento dell’Armata Rossa erano estreme: freddo, fame, scarsità di rifornimenti e territori infestati da mine tedesche. In questo contesto, i cani si rivelarono risorse preziose e insostituibili. Secondo gli storici, furono oltre 40.000 gli animali impiegati nei ranghi dell’esercito sovietico.

Addestrati con metodi rigorosi fin dagli anni ’30, i cani svolgevano compiti essenziali: trasportavano munizioni, messaggi, medicinali. Molti erano impiegati per individuare mine nemiche, sfruttando il loro olfatto eccezionale. Migliaia di vite furono salvate proprio grazie alla loro capacità di rilevare esplosivi prima che i soldati vi incappassero.

In altre situazioni, trascinavano slitte o barelle, permettendo l’evacuazione di feriti sotto il fuoco nemico, quando i veicoli non potevano passare o i soldati erano troppo esposti.

Eroi dimenticati? No. Oggi, a 80 anni dalla vittoria sovietica contro il nazifascismo, la memoria di questi “soldati a quattro zampe” è viva, non solo in Russia. Anche in Italia c’è un monumento che li ricorda: si trova a Ventasso, in provincia di Reggio Emilia, e commemora la squadra partigiana sovietica Cane Azzurro, comandata dal “Capitano Ivan”.

Il monumento dedicato alla squadra Cane Azzurro a Ventasso.

Il nome della squadra non è casuale: fu scelto in onore dei cani che combatterono al fianco dei partigiani sovietici e italiani, partecipando a operazioni di sabotaggio e guerriglia contro le forze nazifasciste.

Raccontare queste storie oggi, come fa Prilepin nei suoi romanzi, non è nostalgia, ma resistenza culturale. Significa riconoscere il contributo di tutti, anche degli animali, nella lotta contro la barbarie, e restituire umanità — sì, proprio umanità — a quegli esseri che troppo spesso consideriamo secondari.

IR

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