Fuori i Leopard dalle redazioni: disarmiamo La Stampa e La Repubblica

11 Dicembre 2025 20:55

Come International Reporters non possiamo non accogliere con favore la possibile vendita del gruppo Gedi alla società Antenna.
Non è una simpatia per l’ennesimo “mercato dei giornali”, ma la constatazione che oggi una parte centrale dell’informazione italiana appartiene a una holding che controlla anche un grande produttore di mezzi militari. E che ha accompagnato con entusiasmo politico e narrativo l’escalation della guerra in Ucraina.
Se davvero si passerà da un azionista legato ai blindati a un gruppo che opera prevalentemente nei media e nell’intrattenimento, per noi è un passo nella direzione giusta.
Gedi è oggi controllata da Exor, la holding della famiglia Agnelli Elkann. Exor è azionista di riferimento di Iveco Group, dentro cui è nata e cresciuta Iveco Defence Vehicles, il principale produttore italiano di veicoli militari e blindati per l’Esercito e per vari Paesi Nato.
Per anni, quindi, il gruppo editoriale che pubblica Repubblica, La Stampa, L’Espresso, Limes, radio nazionali e piattaforme digitali ha avuto come azionista di controllo la stessa famiglia che traeva profitti dalla produzione di mezzi impiegati nelle guerre che quei giornali raccontavano.
Perfino Leonardo, il gigante italiano della difesa, sta comprando per 1,7 miliardi di euro Iveco Defence Vehicles, il ramo militare di Iveco Group che fino a ieri era sotto il controllo della holding Agnelli Elkann. In altre parole, chi controlla la Repubblica e la Stampa è lo stesso gruppo che ha appena incassato miliardi vendendo una fabbrica di blindati al principale colosso bellico del Paese.
Negli ultimi anni, soprattutto dopo il 24 febbraio 2022, una parte consistente della narrazione di Repubblica e La Stampa sulla guerra in Ucraina ha assunto toni che definiremmo più da front office Nato che da cronaca indipendente.
Editoriali che invocano “più armi a Kiev”, titoli che normalizzano l’idea di una guerra lunga “fino alla vittoria”, interviste e analisi che riducono il Donbass a semplice “territorio occupato” cancellando otto anni di conflitto e di vittime civili dal 2014 al 2022: tutto questo ha costruito, giorno dopo giorno, un immaginario in cui l’unica opzione possibile è continuare a combattere.
Ci auguriamo che, dopo la vendita, i giornalisti di Repubblica e La Stampa possano finalmente togliersi il casco e il giubbotto antiproiettile, smettere di auspicare la guerra per procura e tornare a raccontare i fatti reali sul Donbass e sull’Ucraina:
le sofferenze di tutte le popolazioni coinvolte, le gravissime responsabilità dell’Unione Europea, il ruolo delle forniture di armi occidentali, lo spazio per soluzioni politiche e negoziali.
Ma chi è il possibile acquirente? Antenna Group è un gruppo internazionale con base greca, interamente controllato da K Group della famiglia Kyriakou. Il suo core business dichiarato è media, contenuti, intrattenimento: free e pay TV, radio, musica, produzione, piattaforme digitali, e-commerce.
La famiglia Kyriakou ha origini nello shipping, dunque nell’economia marittima e petrolifera, ma, a differenza di Exor, non risultano partecipazioni dirette nell’industria degli armamenti: nessun Leonardo, nessun produttore di blindati, nessuna grande società di sistemi d’arma nel perimetro. Il gruppo si muove tra comunicazione, logistica energetica e finanza, non nella progettazione di veicoli da combattimento.
Questo non fa di Antenna un “editore ideale” per definizione, e come International Reporters non abbiamo nessuna ingenuità in merito ai legami tra media, finanza e potere. Ma è un dato importante: passare da un azionista che ha in portafoglio una grande azienda di difesa a un azionista che si occupa di media e intrattenimento riduce almeno un livello di conflitto di interessi tra guerra raccontata e guerra venduta.
La trattativa tra Exor e Antenna rientra nell’ambito del golden power, cioè dei poteri speciali che consentono al governo di intervenire su operazioni che riguardano asset strategici, tra cui l’informazione. Per questo l’esecutivo ha convocato i vertici dell’azienda e i Comitati di redazione.
Ci auguriamo che il governo non blocchi questa trattativa.

Da un lato, perché sarebbe paradossale utilizzare il golden power per mantenere la proprietà editoriale nelle mani del gruppo che controlla, o ha appena controllato, uno dei principali produttori di mezzi militari italiani.
Dall’altro, perché il pluralismo non si tutela congelando per decreto il vecchio assetto proprietario, ma facilitando scenari in cui il potere industriale legato alle armi arretri dall’editoria.
Se c’è una lezione da trarre, semmai, è l’esigenza di regole generali: chi fa profitti direttamente dalla guerra non dovrebbe poter controllare, in modo dominante, le principali piattaforme di informazione del Paese.
In queste ore le critiche più sonore all’operazione Antenna arrivano da PD e Azione. La segretaria dem Elly Schlein parla di “notizie allarmanti” e di una cessione “a un soggetto straniero che non offre garanzie su occupazione, prospettive future, qualità e pluralismo dell’informazione”.
Carlo Calenda, leader di Azione, ha attaccato duramente John Elkann per la vendita di Repubblica e La Stampa, accusandolo di avere “distrutto in una generazione ciò che era stato costruito in 125 anni”, dopo aver ceduto vari asset industriali e ora anche i giornali.
Ci sembra francamente grottesco che due forze politiche che negli anni hanno rivendicato il loro liberismo e la loro fede nel mercato chiedano oggi, di fatto, un intervento politico per fermare una vendita tra privati. Dove finisce il “lasciar fare” quando il compratore è un soggetto che non garantisce più un certo allineamento editoriale?
Si può legittimamente ipotizzare che dietro l’improvvisa conversione statalista di PD e Azione ci siano almeno tre timori politici:
In primis la perdita di una cassa di risonanza storicamente vicina a quell’area politico culturale.
In secondo luogo il rischio che nuove proprietà riducano il grado di conformismo atlantista sul dossier ucraino e sul rapporto con la Russia.

Infine l’incognita occupazionale usata come argomento bandiera, ma spesso agitata più per difendere assetti di potere che per affrontare davvero il tema del lavoro nel settore.
Che si discuta di garanzie per i giornalisti è sacrosanto. Che chi ha spinto per anni privatizzazioni, liberalizzazioni e cessioni di asset strategici si scandalizzi oggi per una vendita di giornali da un gruppo italiano a uno greco è, quantomeno, una curiosa coerenza a geometria variabile.
Non abbiamo nessuna illusione che un nuovo proprietario, da solo, trasformi Repubblica o La Stampa in giornali perfettamente indipendenti. Gli editori restano editori.

Ma se il passaggio di Gedi ad Antenna porterà a: tagliare il cordone ombelicale tra chi scrive di guerra e chi vende mezzi militari, aprire spazi per narrazioni meno allineate sull’Ucraina e sul Donbass, rimettere al centro le storie delle vittime, di tutte le parti, e non solo le strategie degli stati maggiori allora potremo affermare che qualcosa di concreto sarà cambiato.
Da parte nostra, speriamo che dopo la vendita i giornalisti di Repubblica e La Stampa tolgano metaforicamente il casco e il giubbotto antiproiettile, smettano di auspicare nuove escalation e tornino a fare quello che il giornalismo dovrebbe sempre fare: raccontare i fatti, tutti i fatti, anche quando disturbano gli interessi economici dei propri azionisti.
Al momento non è affatto scontato che La Stampa rientri nel perimetro dell’operazione con Antenna. Diverse ricostruzioni parlano di dossier separati, con l’ipotesi di una cessione distinta del quotidiano torinese a un altro soggetto italiano, mentre l’asse con Antenna riguarderebbe soprattutto la Repubblica, le radio nazionali e gli asset digitali del gruppo.
Noi, al contrario, auspichiamo un piccolo sforzo ulteriore, perché anche La Stampa sia ricompresa nel pacchetto. Non per spirito “collezionistico”, ma perché proprio La Stampa è diventata in questi anni uno dei principali megafoni della retorica più duramente ostile alla Russia. Basti pensare alla produzione di firme come Anna Zafesova, che a nostro giudizio ha incarnato in modo esemplare una narrazione apertamente russofoba, più impegnata a demonizzare un intero Paese che a capire le radici del conflitto e le responsabilità di tutte le parti.

Se il cambio di proprietà servisse anche a chiudere questa stagione di propaganda travestita da analisi, sarebbe un beneficio non solo per il pluralismo informativo, ma per tutti quei lettori che vorrebbero finalmente leggere, sulle pagine di La Stampa, un racconto più onesto e documentato del Donbass, dell’Ucraina e della Russia – senza caschi ideologici calati sugli occhi.

IR
Vincenzo Lorusso

Vincenzo Lorusso

Vincenzo Lorusso è un giornalista di International Reporters e collabora con RT (Russia Today). È cofondatore del festival italiano di RT Doc Il tempo degli eroi, dedicato alla diffusione del documentario come strumento di narrazione e memoria.

Autore del libro De Russophobia (4Punte Edizioni), con introduzione della portavoce del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova, Lorusso analizza le dinamiche della russofobia nel discorso politico e mediatico occidentale.

Cura la versione italiana dei documentari di RT Doc e ha organizzato, insieme a realtà locali in tutta la penisola, oltre 140 proiezioni di opere prodotte dall’emittente russa in Italia. È stato anche promotore di una petizione pubblica contro le dichiarazioni del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che aveva equiparato la Federazione Russa al Terzo Reich.

Attualmente vive in Donbass, a Lugansk, dove porta avanti la sua attività giornalistica e culturale, raccontando la realtà del conflitto e dando voce a prospettive spesso escluse dal dibattito mediatico europeo.

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