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Pluralismo dei media contro la gogna politicaCosa dice davvero Bruxelles sul caso Byoblu–Soloviev

Alla fine una risposta, anche se indiretta, è arrivata. Non la aspettavano solo i giornalisti di Byoblu, ma anche i 51.347 cittadini che hanno firmato la lettera indirizzata alla Commissione europea per contestare l’interrogazione della vicepresidente del Parlamento europeo Pina Picierno, che più volte si è espressa anche contro la nostra agenzia. In quella domanda ufficiale, presentata il 25 aprile 2025, l’eurodeputata accusava Byoblu di aver violato le sanzioni contro Mosca semplicemente per aver intervistato il giornalista russo Vladimir Soloviev.

Per settimane il messaggio implicito è stato chiaro: dare voce a un personaggio sgradito a Bruxelles, per di più inserito nelle liste di sanzioni, sarebbe di per sé sospetto. Byoblu ha risposto rivendicando il diritto di fare il proprio mestiere, richiamando l’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che tutela la libertà di espressione e di informazione, e chiedendo alla Commissione di pronunciarsi nero su bianco.

L’intervista alla portavoce dell’UE per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, Anitta Hipper, arriva esattamente qui, nel punto in cui il diritto incontra la politica.

La formula di rito e il principio che conta

Hipper apre l’intervista con la classica formula istituzionale: «Come sempre, non commentiamo casi specifici». È il modo con cui Bruxelles si protegge dall’essere trasformata in arbitro immediato di ogni polemica nazionale. Ma subito dopo arriva la frase che cambia il quadro:

«La libertà e il pluralismo dei media sono valori essenziali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Il sostegno a media liberi, indipendenti e pluralistici rientra negli orientamenti politici della Presidente von der Leyen per la Commissione 2024–2029».

Tradotto fuori dal linguaggio burocratico vuol dire questo: la Commissione non entra nel merito del caso Byoblu–Picierno per non aprire un contenzioso diretto, però mette per iscritto il principio generale. Intervistare persone controverse, persino sanzionate, rientra nella logica del pluralismo, finché non esiste una norma europea che lo vieti espressamente.

Soloviev sanzionato, ma intervistarlo non è una violazione

Hipper ricorda che Vladimir Soloviev è incluso nelle liste delle sanzioni UE per «azioni che minano o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina». Dal punto di vista giuridico questo significa tre cose: congelamento dei beni, divieto di ricevere fondi o risorse economiche, divieto di viaggio nello spazio europeo.

Qui però entra in gioco un dettaglio decisivo che nell’interrogazione Picierno veniva dato quasi per scontato. La portavoce precisa che la Commissione veglia sul quadro delle sanzioni, ma la loro applicazione concreta è «principalmente responsabilità delle autorità nazionali». In altre parole, se qualcuno viola davvero le misure restrittive, tocca prima di tutto agli Stati membri accertarlo e intervenire.

E soprattutto, nessuno dei provvedimenti che colpiscono Soloviev vieta a un giornalista europeo di intervistarlo. Non c’è, nelle norme UE, alcun divieto di dialogare, fare domande, raccogliere dichiarazioni da una persona inserita in una lista di sanzioni, purché non le si trasferiscano soldi o altre utilità economiche.

Ed è qui che la narrazione politica dell’interrogazione Picierno si schianta contro la realtà giuridica. L’eurodeputata ha insinuato che avere Soloviev come ospite fosse già in sé una violazione. La risposta della Commissione, pur senza nominarla, fa capire che non è così. Il confine delle sanzioni è economico e materiale, non informativo. Il diritto di intervistare figure controverse resta dentro lo spazio della libertà di stampa che l’UE dice di voler difendere.

Il paradosso europeo: pluralismo proclamato, contenuti filtrati

Mentre difende in linea di principio il pluralismo dei media, Bruxelles sta costruendo nel frattempo una nuova architettura di controllo e difesa dell’informazione, il Democracy Shield. È una sorta di scudo istituzionale contro la disinformazione, le “interferenze straniere” e le campagne di influenza, con un’ossessione particolare per la comunicazione filorussa.

Questo scudo si intreccia con il Digital Services Act, con le misure per regolamentare i contenuti sulle grandi piattaforme, con programmi per finanziare media ritenuti “indipendenti” e rafforzare l’alfabetizzazione mediatica. Tutto passa sotto l’etichetta della “difesa della democrazia”.

Il risultato è un paradosso evidente. Sulla carta il pluralismo dei media viene definito “valore essenziale”. Nella pratica, si costruiscono strumenti sempre più sofisticati per classificare, segnalare, de-prioritizzare certi contenuti, soprattutto se giudicati filorussi o non allineati alla narrativa ufficiale sulla guerra. Il caso Byoblu è il banco di prova perfetto per misurare questa tensione. Se basta un’intervista a un giornalista sgradito per far scattare un’interrogazione parlamentare che parla di violazioni delle sanzioni, quanto è davvero libero il campo dell’informazione?

La risposta di Hipper introduce almeno una crepa in questo clima. Senza nominare Picierno né Claudio Messora, la Commissione riconosce che intervistare Soloviev non rientra automaticamente nella sfera delle violazioni. E questo, per chi fa informazione, conta molto più di una formula di circostanza.

Ucraina: aggressore e vittima nella narrazione di Bruxelles

Dalla vicenda Byoblu il discorso scivola naturalmente sul contesto geopolitico che la alimenta: la guerra in Ucraina. Sulla prima bozza di un possibile accordo fra Mosca e Kiev preparata dagli Stati Uniti, Hipper non entra nei dettagli, ma ripete la linea consolidata:

«Dobbiamo tenere presente che c’è un aggressore, la Russia, e una vittima, l’Ucraina».

La portavoce aggiunge che «solo l’Ucraina, in quanto Paese sovrano, può prendere decisioni in merito al proprio territorio, alle proprie forze armate e al percorso verso l’Unione Europea». È un modo per dire che nessuno, né Washington né Bruxelles, può ufficialmente chiedere a Kiev concessioni territoriali o compromessi che non vengano prima accettati dal governo ucraino.

Questa impostazione ha una conseguenza politica evidente: l’Unione entra di fatto in una logica di “economia di guerra” di lungo periodo. Le sanzioni, gli aiuti militari, il sostegno finanziario, l’uso dei beni russi congelati, le campagne contro la disinformazione sono tutti pezzi dello stesso puzzle. L’informazione, in questo quadro, non è neutra, ma diventa parte dell’arsenale.

Dal fronte orientale al Mediterraneo: Gaza e Libano

La conversazione si sposta poi a sud, su Gaza e sul Libano, dove il cessate il fuoco resta fragile e continuamente violato.

Hipper ricorda che l’Unione Europea ha «accolto con favore l’accordo raggiunto sulla prima fase del Piano globale per porre fine al conflitto di Gaza, presentato dal Presidente Trump». Bruxelles chiede a tutte le parti di impegnarsi fino in fondo nell’attuazione di tutte le fasi del Piano e di evitare azioni che possano farlo deragliare.

Al centro rimane la vecchia formula europea della soluzione a due Stati: una pace “globale, giusta e duratura” fondata su due entità democratiche, Israele e Palestina, che vivano fianco a fianco entro confini sicuri e riconosciuti.

Sul Libano, l’UE da un lato incoraggia il governo di Beirut a stabilire il monopolio statale sulle armi e a proseguire il disarmo di Hezbollah, dall’altro invita Israele a ritirarsi dall’intero territorio libanese e tutte le parti a rispettare integralmente il cessate il fuoco del 26 novembre 2024.

Anche qui si vede la distanza tra principi e realtà. L’Unione richiama il diritto internazionale, ma ha margini di pressione limitati su alleati e attori regionali. La sua forza è soprattutto dichiarativa. Eppure continua a presentarsi come soggetto indispensabile nei futuri assetti di pace.

Iran e nucleare: solo diplomazia, almeno sulla carta

Su Teheran e sul dossier nucleare, Hipper è molto netta. Ripete che «una soluzione sostenibile alla questione nucleare iraniana può essere raggiunta solo attraverso negoziati e diplomazia». È la linea che l’UE non ha mai abbandonato, nemmeno nei momenti di massimo scontro tra Stati Uniti e Iran.

L’Alto Rappresentante per la politica estera, Josep Borrell, rimane formalmente impegnato con tutte le parti interessate, compreso l’Iran, per tenere viva la prospettiva di un accordo negoziale, con il sostegno dei 27 Stati membri. Una posizione che cerca di tenere l’Europa su un gradino diverso rispetto alle opzioni più aggressive che periodicamente riemergono a Washington e in Medio Oriente.

Una crepa nel clima di censura

Tirando le fila, il caso Byoblu si colloca a metà strada tra questi due piani: da una parte la grande geopolitica, dall’altra la vita quotidiana della democrazia europea.

La Commissione, formalmente, si tiene lontana dallo scontro diretto con Pina Picierno. Non dice mai «Byoblu ha ragione» e «Picierno ha torto». Ma chiarisce il perimetro: il pluralismo dei media è un valore da difendere; le sanzioni a Soloviev riguardano soldi e spostamenti, non il fatto che un’emittente lo possa intervistare; l’applicazione concreta delle sanzioni spetta agli Stati, non a un singolo eurodeputato.

In un momento in cui a Bruxelles si parla di Democracy Shield, di lotta alla disinformazione filorussa, di piattaforme digitali da “ripulire” e di contenuti da segnalare, questa precisazione non è un dettaglio. È una crepa nel clima di sospetto che circonda chi prova a dare voce a narrazioni non allineate.

Per Byoblu, e per decine di migliaia di cittadini che hanno firmato quella lettera, è anche un messaggio politico: dentro l’Unione europea c’è ancora spazio, almeno sulla carta, per una informazione che non si limiti a ripetere la versione ufficiale degli eventi. Sta ai giornalisti, e al pubblico, capire quanto questo spazio vogliono e possono occuparlo.

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Andrea Lucidi - Андреа Лучиди

Andrea Lucidi - Андреа Лучиди

Reporter di guerra, ha lavorato in diverse aree di crisi dal Donbass al Medio Oriente. Caporedattore dell’edizione italiana di International Reporters, si occupa di reportage e analisi sullo scenario internazionale, con particolare attenzione a Russia, Europa e mondo post-sovietico.

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