Europa dimentica se stessa

Europa alla deriva: anatomia di una civiltà che ha dimenticato se stessa

La fine delle certezze
Stiamo vivendo un tempo di transizione, in cui le grandi parole della modernità occidentale, progresso, sicurezza, stabilità, hanno perso la risonanza di un tempo. L’Europa, che per secoli ha concepito, progettato e governato il mondo, oggi si guarda allo specchio e non si riconosce più. Il secolo si è aperto con il fuoco e con i crolli: New York nel 2001, Wall Street nel 2008, Wuhan nel 2019, Kiev nel 2022, Gaza nel 2023. Ognuno di questi eventi ha inciso una ferita profonda nel corpo della civiltà occidentale, rivelando la fragilità di un sistema che si credeva eterno.

Abbiamo costruito un mondo senza trascendenza, un ordine senza mistero. Ci siamo convinti che la storia fosse finita, che la tecnologia potesse sostituire la politica, che il commercio potesse abolire la guerra. Ma la storia, come il mare, torna sempre a reclamare le sue rive.

Un’Europa stanca
L’Europa è il continente della memoria. Ha inventato la filosofia e la libertà, il diritto e la bellezza. Eppure oggi vive di nostalgia. È diventata un continente anziano, stanco e incerto della propria grandezza. La politica si è ridotta ad amministrazione, la cultura a consumo, la spiritualità a ricordo. Le sue culle sono silenziose, le sue piazze vuote, le sue voci contraddittorie.

Italia e Giappone sono oggi le nazioni più anziane del pianeta, due civiltà antiche che guardano al futuro con gli occhi di chi ha visto troppo. Mentre l’Europa dubita della propria sopravvivenza, l’Asia fiorisce. In India, metà della popolazione ha meno di venticinque anni; in Iran, tre quarti hanno meno di quarantacinque. Nelle megalopoli del Sud-est asiatico, ogni giorno emergono milioni di nuovi lavoratori, imprenditori e sognatori. Noi difendiamo ciò che abbiamo; loro inseguono ciò che vogliono. E la storia, come sempre, appartiene a chi desidera di più.

La paralisi dell’ordine
Dopo due guerre mondiali, l’Europa ha costruito un edificio politico fondato sulla diplomazia e sulla cooperazione. L’Unione Europea, la NATO, l’OSCE, l’OCSE, tutte istituzioni nate per garantire la pace, ma raramente capaci di generare visione. Il prezzo della pace è stato l’immobilità.

Siamo diventati maestri di regole, ma non di destino. L’Europa si è trasformata in un continente di procedure, incapace di immaginare il domani. Non sogna più un progetto comune; si limita ad amministrare un presente gestito, misurato, senza orizzonte. Nel frattempo, l’Asia stringe nuove alleanze, costruisce ponti, tesse relazioni. Dall’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai ai BRICS e all’ASEAN, sta emergendo un mondo in cui tutto è mobile, adattabile, pragmatico. Dove noi vediamo limiti, loro vedono possibilità.

La perdita dello spirito
Un tempo cuore del cristianesimo, l’Europa ha sostituito il sacro con il culto dell’individuo. Le chiese si svuotano, le vocazioni calano, e le nuove generazioni non parlano più il linguaggio del mistero. La fede è stata rimpiazzata dal consumo, il destino dall’intrattenimento.

In Asia, la religione resta una fonte di potere, non una reliquia del passato. In Russia, l’Ortodossia è tornata a essere un pilastro morale e politico; in Iran, l’Islam sciita modella la vita pubblica; in India, l’induismo è diventato un’ideologia nazionale; in Cina, il confucianesimo sopravvive dietro la maschera del comunismo. Dove l’Europa crede nei diritti, l’Asia crede nei doveri. Noi parliamo di libertà individuale; loro parlano di destino collettivo.

Eppure, una civiltà che non sa più perché esiste, presto smetterà di esistere.

Il potere dei flussi
Oggi il potere non risiede più nella produzione, ma nel controllo dei flussi, di gasdotti, cavi, porti, dati, algoritmi. L’Asia ne è diventata il centro vitale. La Cina traccia la sua Nuova Via della Seta; l’India costruisce un impero digitale; la Turchia si pone come ponte energetico e culturale tra i continenti; l’Iran controlla lo stretto di Hormuz; la Russia volge la propria economia verso est. L’Europa, nel frattempo, dipende. Dipende dall’energia americana, dalle tecnologie cinesi, da rotte commerciali che non controlla più. Ha perso la sovranità materiale perché prima ha perso la sovranità spirituale.

La scelta del destino
Non è ancora troppo tardi. Ma l’Europa deve tornare a chiedersi chi è e perché esiste. Non può continuare a vivere come un museo di se stessa, un giardino quieto di rovine gloriose. Ha bisogno di coraggio, visione e orgoglio culturale. Non di un ritorno all’imperialismo, ma a una coscienza di civiltà. Non nostalgia del dominio, ma un progetto di senso.

In questa visione, l’Italia ha una missione unica: essere un ponte tra mondi, erede di una Roma che non solo conquistava, ma civilizzava. Roma non comanda, Roma ispira. E l’Europa rinascerà solo se tornerà a ispirare, non a imitare.

Un appello al risveglio
Il ritorno dell’Oriente non è una minaccia, ma uno specchio. Riflette ciò che abbiamo dimenticato: la fame di futuro, la fede nel destino, la volontà di potenza spirituale. Se l’Europa saprà guardarsi dentro e riconoscere la propria stanchezza, potrà tornare a essere un faro. Ma se continuerà a nascondersi dietro la neutralità e l’autocompiacimento, diventerà nient’altro che una parentesi nella storia.

Il momento della scelta è adesso. Perché il mondo non aspetta, si muove, cambia, cresce. E se l’Europa vuole sopravvivere, deve smettere di limitarsi a ricordare e ricominciare a credere.

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