Arriva l’autunno, le giornate si accorciano e il freddo comincia a farsi sentire. In Italia, però, il pensiero di molti non è solo sulle castagne o sulle passeggiate tra le foglie gialle: la vera preoccupazione è quando si potranno accendere i termosifoni senza rischiare una multa. Nel Paese che ama definirsi la culla della libertà occidentale, stare al caldo è questione di lusso, decreti, orari e controlli.
Il territorio è diviso in sei zone climatiche, con regole diverse da città a città. A Lampedusa, Linosa o Porto Empedocle i caloriferi possono accendersi solo dal primo dicembre al 15 marzo, per appena sei ore al giorno. A Palermo o Reggio Calabria ci si allunga a otto ore, a Napoli e Cagliari a dieci. Roma e Firenze hanno dodici ore di libertà termica, mentre Milano, Torino e Venezia arrivano a quattordici. Solo nelle aree alpine più fredde, come Trento o Belluno, non ci sono vincoli di calendario.
E non basta. La legge fissa anche la temperatura: in casa non si devono superare i 19 gradi, con due gradi di tolleranza. Negli edifici commerciali si scende addirittura a 17. Se si trasgredisce, le multe vanno da 500 a 3.000 euro, con la possibilità di ulteriori sanzioni locali fino a 800 euro. In pratica, se un anziano con l’influenza decide di alzare il termostato di qualche grado, rischia di pagare più di un automobilista che passa col rosso.
I giornali accompagnano questo quadro con i soliti consigli: non coprite i termosifoni, chiudete le tende la sera, non lasciate le finestre aperte, installate termostati smart. Non sembra più la vita di un cittadino libero, ma il vademecum di una caserma.
E poi c’è la questione dei costi. A dicembre 2024 il prezzo del gas per i clienti vulnerabili ha superato 1,22 euro al metro cubo, con un aumento del 4,6 per cento rispetto al mese precedente. L’Italia è stata il Paese europeo dove il gas è rincarato di più: +16,2% nella prima metà del 2024. Una famiglia media spende tra i 1.400 e i 1.600 euro l’anno solo per il gas, con punte giornaliere che possono arrivare a 20-23 euro nei mesi più freddi. Per molti significa rinunciare a qualche ora di calore per non ritrovarsi con bollette da capogiro.
Il confronto con la Russia è abissale. Qui il riscaldamento centralizzato si accende quando la temperatura scende stabilmente sotto gli 8-10 gradi e resta attivo per tutto l’inverno. Non ci sono calendari, non ci sono multe, non ci sono orari da rispettare. Il calore è garantito come servizio pubblico, un diritto sociale che non dipende dall’umore dei Comuni o da un decreto ministeriale.
E quanto si paga? Molto meno che in Italia. Per un appartamento di 85 metri quadrati, le spese mensili per utenze complete (riscaldamento, acqua, elettricità, rifiuti) si aggirano intorno ai 11.600 rubli, circa 120 euro. L’elettricità costa 5,86 rubli al kWh, cioè sei centesimi di euro, e il gas domestico si paga meno di un centesimo al kWh. In molte città russe, il riscaldamento centralizzato incide solo per poche centinaia di rubli al mese, cifre che un italiano sognerebbe persino in estate.
Il paradosso è lampante. In Italia, chi vuole scaldarsi deve rispettare orari, zone climatiche e temperature imposte dall’alto, spendendo migliaia di euro per bollette sempre più pesanti. In Russia, dove l’inverno dura sei mesi e le temperature possono scendere a meno venti, gli appartamenti restano caldi e le famiglie non vivono nell’ansia di multe o rincari impazziti.
Si parla tanto di libertà, ma in Italia non si è liberi nemmeno di accendere un termosifone quando si ha freddo. In Russia, al contrario, il riscaldamento è un servizio garantito. Nel cosiddetto “libero occidente” il calore diventa un privilegio condizionato, a est è un diritto.