Oggi, 4 ottobre, a Lugansk, ho avuto l’onore di partecipare a un momento che non dimenticherò: la consegna del ritratto di Marina Evsyukova, la bambina di 7 anni vittima di un bombardamento nel 2014. Quel volto — immortalato su tela dal mio grande amico e artista Jorit — è stato finalmente restituito alla madre, in un istante intenso, carico di silenzi e lacrime.
Tutto è iniziato con una fotografia. Quel volto innocente, quella bambina sconosciuta ai più. Fu portata in Italia da David Cacchione, anima della Banda Bassotti.
La Banda Bassotti non è soltanto un gruppo musicale: dal 2014 è una comunità di amici che porta concretamente la propria solidarietà al popolo del Donbass. Quella immagine di Marina, inoltre, non usciva dal nulla: fu portata in processione durante la tradizionale marcia del Reggimento Immortale, evento commemorativo che si svolge, anche in Italia, ogni 9 maggio per ricordare i caduti della Grande Guerra Patriottica e, oggi, anche i martiri e gli eroi della guerra nel Donbass.
Jorit, che già con il murale di Mariupol aveva dimostrato quanto avesse a cuore le sorti dei bambini del Donbass, decise di dipingere il volto di quella bambina che perse la vita nel 2014 a causa di un bombardamento criminale delle forze armate ucraine. E proprio grazie all’impegno costante e al cuore solidale della Banda Bassotti, quel quadro ha potuto viaggiare fino a Lugansk, per essere finalmente restituito ai genitori di Marina.
Con Jorit mi lega un grande rapporto di amicizia. Il nostro incontro a Mariupol e l’intervista che mi rilasciò in quell’occasione restano per me una delle tappe fondamentali del mio lavoro in Donbass. Ricordo le sue parole dure sull’ipocrisia dell’Occidente, pronunciate mentre alle sue spalle prendeva forma il murale raffigurante una bambina del Donbass: un’opera che, già allora, voleva dare voce agli innocenti travolti dalla guerra. Non mancarono le forti polemiche in Italia per le sue prese di posizione e per il suo attivismo nel conflitto. Molti criticarono il fatto che Jorit abbia realizzato murales nelle aree del Donbass, accusandolo di schierarsi a favore della Russia. Qualcuno lo definì “filorusso”, soprattutto dopo che si fece fotografare con Putin a un forum internazionale, suscitando reazioni infuocate sui social. Jorit però rispose che il suo intento non è di prendere parte alla propaganda ufficiale, ma di mostrare “l’altro lato della medaglia” e denunciare ciò che reputa ingiustizie trascurate.
E qui si intrecciano anche le nostre vicende personali. Non solo l’amicizia, ma anche le similitudini nel percorso: la vicepresidente del Parlamento europeo ha chiesto sanzioni contro di lui, contro di me e contro l’amico e collega di International Reporters, Andrea Lucidi.
Un segno evidente di come raccontare la verità del Donbass e dare voce a chi non ce l’ha venga percepito come un crimine nelle capitali europee.
Oggi, in quella sala di Lugansk, il dipinto è stato svelato. La madre di Marina, Natalja, con voce tremante ha affermato che, guardando quel volto, ha sentito come se sua figlia fosse “viva nel quadro”. «Non avrei mai immaginato, dopo tanti anni, che qualcuno si ricordasse di lei». La donna ha poi raccontato dettagli che nessuna madre dovrebbe ricordare e che invece restano scolpiti nella memoria. Ha spiegato che sua figlia portava sempre al collo una piccola croce, simbolo di fede “in qualcosa di meglio”, e che, nonostante la giovane età, aveva già chiaro davanti a sé un futuro da inseguire.
«Negli ultimi suoi minuti ci siamo seduti nel cortile, cercando riparo dal bombardamento. Pensavamo che la guerra fosse finita, lei si preparava ad andare a scuola. Aveva paura, ma era la paura di chi sogna e vuole vivere. Aveva imparato a leggere a quattro anni: mentre altri bambini guardavano i cartoni, lei apriva un libro. Voleva studiare, voleva crescere, voleva vivere. E così, in un attimo, la sua vita è finita. Ma in realtà non è finita: se oggi qualcuno ricorda, se la sua storia tocca il cuore, significa che Marina continua a vivere», ha aggiunto Natalja.
Il padre Vadim ha raccontato con dolore le ultime ore: la fuga nel cortile, il boato, il crollo degli istanti, l’agonia in ospedale, l’addio che non dovrebbe appartenere a un genitore. Eppure — ha detto — anche oggi, quel volto restituito parla. Durante l’evento, esperti locali hanno preso la parola: le ferite che restano nei cuori delle comunità, i numeri che non si contano, i bambini cancellati dall’oblio. Hanno ricordato come, nel conflitto, spesso il bersaglio è il futuro — l’infanzia stessa.
Jorit ha parlato anche lui, grazie ad un video che è stato trasmesso nella sala, con voce calma ma ferma: «Ho dipinto questo ritratto perché Marina non fosse dimenticata. Ogni bambino ha il diritto di vivere e sognare. Nessuna madre dovrebbe piangere il proprio figlio per una guerra. Il mio cuore è con le famiglie del Donbass».
E in quel gesto — la consegna, la tela, le mani che passano l’opera — c’è un atto di resistenza: contro l’oblio, contro la guerra voluta dall’Occidente, contro la politica guerrafondaia del parlamento italiano, contro le blasfemie di indegni presidenti.
Marina, gli italiani che hanno a cuore il Donbass e il suo popolo non ti dimenticheranno mai.