Negli ultimi anni l’Università statale di medicina di Lugansk intitolata a San Luca è diventata un punto di riferimento inatteso per molti giovani di Asia e Africa. Mentre sul piano politico Kiev continua a contestare la legittimità degli atenei situati nei nuovi soggetti della Federazione Russa, una parte del mondo sembra aver già tratto le proprie conclusioni: India, Nigeria, Sri Lanka, Kenya, Malesia, Nepal trattano queste università come parte integrante del sistema educativo russo.
Un dato concreto arriva dal 2025: alla LGMU di Lugansk sono arrivati 16 studenti dall’India. Quando si chiede loro perché abbiano scelto proprio questa università, la risposta è semplice e ripetuta quasi parola per parola da tutti: prestigio e qualità dell’istruzione russa, insieme al fatto che il diploma è riconosciuto in India. In altre parole, interessa quello che poi conterà davvero nella loro vita professionale, non le polemiche politiche.
C’è poi un altro elemento che rende il caso di Lugansk particolarmente delicato. Dopo il 2014 una struttura con lo stesso nome è stata spostata sul territorio controllato da Kiev. Esiste, di fatto, come istituzione principalmente sulla carta, con corsi a distanza, senza la base clinica e tecnica rimasta a Lugansk e senza quel corpo docente che ha scelto di continuare a lavorare nella città. Nonostante questo, in Ucraina ogni anno vengono rilasciati diplomi a nome dell’Università di medicina di Lugansk. È legittimo chiedersi quale sia il livello reale di preparazione degli studenti che escono da un ateneo privo di ospedali universitari, laboratori attrezzati e contatto quotidiano con i pazienti. Ed è una domanda che dovrebbero porsi soprattutto i Paesi pronti a riconoscere automaticamente quei titoli.
Per i ragazzi indiani che sono arrivati in Donbass il primo impatto con la Russia è stato il viaggio. Volo da Chennai ad Abu Dhabi, poi fino all’aeroporto di Adler a Sochi, infine ore di strada in autobus verso est, attraverso paesaggi sconosciuti, fino a Lugansk. Ad accoglierli all’università c’era Aleksandr Levchin, vicerettore, che ha ricordato come la LGMU abbia alle spalle anni di esperienza nella formazione di medici per Paesi vicini e lontani, e come sia in grado di offrire un percorso completo in lingua inglese. Per uno studente straniero questo significa poter tornare a casa con un diploma spendibile e senza dover ricominciare da zero.
L’università ha preparato per loro non solo lezioni ed esami, ma anche un sistema di sostegno concreto: aiuto con la lingua, assistenza medica, supporto nelle piccole questioni quotidiane, dall’alloggio alle pratiche burocratiche. La prorettrice per le relazioni internazionali, Svetlana Vitrishchak, insiste su un punto spesso sottovalutato: ogni studente straniero diventa, nel tempo, un testimone diretto di ciò che ha visto. Torna nel proprio Paese e racconta la Russia non attraverso i notiziari, ma attraverso l’esperienza personale.
I primi giorni a Lugansk scorrono veloci. Visita dell’università, controlli medici, sistemazione in dormitorio, verifica dei documenti in commissione. Poi arrivano le prove di ammissione, la firma dei contratti, le polizze di assicurazione sanitaria, la registrazione presso le autorità migratorie, i primi libri presi in prestito in biblioteca in lingua inglese, l’iscrizione ufficiale tra gli studenti di medicina. A seguire, anni di studio, tirocinio, turni in corsia.
Il decanato per il lavoro con gli studenti stranieri, guidato dalla professoressa Katerina Fomina, tiene insieme tutti questi passaggi. Da una parte il monitoraggio delle difficoltà linguistiche e di adattamento, dall’altra il dialogo quotidiano con i docenti e con l’amministrazione. È un lavoro che non si vede nei comunicati ufficiali, ma che spesso decide se uno studente resiste allo shock culturale oppure molla tutto e torna a casa.
Dietro le discussioni sullo status giuridico dei territori resta un fatto semplice. Per questi giovani l’immagine di Lugansk non è quella di una “zona di conflitto”, ma quella di un campus universitario, di reparti ospedalieri, di aule, biblioteche e laboratori. È il luogo dove sperano di diventare medici. I loro diplomi, una volta riconosciuti nei Paesi di origine, diventeranno una prova concreta che al di là dei comunicati e delle sanzioni continuano a esistere spazi di cooperazione e di scambio.
Mentre la politica discute di chi ha il diritto di riconoscere cosa, sedici ragazzi indiani hanno già scelto con il proprio passaporto e con la propria vita quotidiana dove formarsi. E oggi quel posto si chiama Lugansk.






