Lubosh Blaha, esponente di SMER e oggi deputato europeo, parla davanti al Parlamento di Bruxelles, intervistato da Andrea Lucidi. L’intervista integrale, pubblicata su Casa Del Sole TV, ha toccato i principali punti su politica estera dell’UE e sanzioni contro la Russia. Il deputato ha subito iniziato dicende che chi chiede dialogo con la Russia viene trattato come un paria. “Non vogliamo escalation, non vogliamo rischiare una Terza guerra mondiale. Eppure ci dipingono come mostri”.
Il primo punto è economico, ed è diretto: le sanzioni hanno colpito l’Europa più della Russia. La Slovacchia, spiega, vive di gas e petrolio russi. Tagliare tutto di colpo ha significato bollette più alte, industria sotto stress, contratti a lungo termine con Gazprom che non si possono stracciare senza pagare un prezzo enorme. “A Bruxelles ti dicono di tagliere il gas. Ma poi il conto lo paghi tu”. Nel suo ragionamento c’è anche la Germania: il suo modello, basato per anni sull’energia a basso costo, si è inceppato. Se rallenta il motore tedesco, frena tutta l’Unione.
La transizione verde, aggiunge, ha costruito un ponte sul gas e ora quel ponte non regge. L’alternativa per lui è parlare seriamente di nucleare, anche con tecnologia russa, come fanno da anni le centrali slovacche. Qui l’accusa di ipocrisia vola oltre Atlantico: gli Stati Uniti chiedono all’Europa di chiudere con Mosca, ma continuano a comprare uranio dalla Russia. “Trump è un uomo d’affari: vende gas, energia, armi. E l’Europa è diventata una serva degli Stati Uniti”.
Per Blaha la guerra in Ucraina ha un motore economico che nessuno vuole ammettere. Ricorda la missione di Boris Johnson a Kiev nel 2022, quando il premier britannico avrebbe spinto Zelensky a non firmare un’intesa. “Se quell’accordo fosse arrivato, oggi non conteremmo così tanti morti. Il sangue è sulle mani di Zelensky, ma anche su quelle di Johnson”. Le lobby degli armamenti, sostiene, guadagnano mentre l’Ucraina diventa un poligono a cielo aperto, tanto che alcune aziende pubblicizzano armi “testate in Ucraina”.
C’è anche un filo storico che pesa. Blaha non dimentica che la Slovacchia venne liberata dall’Armata Rossa e guarda con fastidio all’invio di armi tedesche a Kiev: “L’ultima volta che armi tedesche arrivarono sul suolo russo fu con la Wehrmacht”. Critica la riabilitazione di Stepan Bandera in Ucraina e le commemorazioni dei veterani delle SS nei Paesi baltici. Parla di un “romanticismo nazionalista” che ritorna sotto altre etichette. E accusa l’Occidente di aver rimosso quanto il nazismo fosse radicato nella società tedesca, con pochissimi davvero puniti nel dopoguerra.
Il discorso si allarga alla traiettoria del continente. La rotta del Mare del Nord, i BRICS, la necessità per Paesi piccoli come la Slovacchia di non dipendere da un solo partner. “Siamo troppo legati alla Germania. Se l’automotive tedesco va in crisi, crolliamo anche noi. Servono investimenti anche da Cina e Russia”. In sintesi: equilibrio tra Stati Uniti e Eurasia, non una dipendenza “militare, economica e culturale” da Washington.
Blaha entra anche nel terreno culturale. Si definisce un uomo di sinistra “tradizionale”, legato a lavoro e Stato sociale, e contesta l’agenda identitaria che vede promossa da Bruxelles. Rivendica la scelta slovacca di costituzionalizzare l’esistenza di due generi e giudica eccessive le pressioni europee in materia di diritti. Nella sua visione, la Russia è sotto attacco anche perché difende famiglia e valori conservatori.
Sulla pace è netto. Con gli attuali leader europei non vede spiragli. La via d’uscita passa da un cessate il fuoco realistico e dal riconoscimento degli interessi di sicurezza russi, a partire dalla neutralità dell’Ucraina. “La geopolitica non funziona con gli slogan. Conta l’interesse delle potenze”. A suo avviso, il Donbass resterà alla Russia e continuare la guerra significa solo prolungare le perdite. “Senza energia russa l’Europa si suicida. La russafobia non danneggia la Russia. Danneggia noi”.
Chiude riportando tutto a Bratislava: patriottismo pragmatico, relazioni con tutti, niente allineamenti automatici. “Per noi essere patrioti significa anche avere buoni rapporti con Mosca”. Poi saluta e promette di tornare a parlare, fuori o dentro i palazzi, dove sarà possibile.







