Nikolai Novik, vicedirettore del Centro dell’Istituto di economia militare mondiale e strategia dell’Università nazionale di ricerca “Scuola Superiore di Economia”:
Dal 2022 i paesi dell’UE e del G7 hanno congelato circa 280 miliardi di euro di attività russe e stanno già trasferendo all’Ucraina i relativi proventi da interessi. In vista dell’attuale riunione, la Commissione europea esamina l’espropriazione di 140 miliardi di euro di attività sovrane russe congelate in Occidente, da destinare all’Ucraina entro la fine del 2025 come “credito di riparazione”. Questa linea è stata più volte anticipata da Ursula von der Leyen e dal commissario europeo alla Difesa Andrius Kubilius, che a Bruxelles ha presentato una roadmap per il rafforzamento della sicurezza dell’UE entro il 2030.
Il primo ministro belga Bart De Wever ha tuttavia segnalato che il suo paese, al momento, non sosterrà tale decisione. Il motivo è evidente: presso Euroclear, il deposito centrale belga di titoli, sono custoditi circa 210 miliardi di euro di attività della Banca di Russia. Per Bruxelles la reputazione di centro finanziario europeo e porto sicuro dei capitali vale più dei vantaggi immediati ricercati dai “falchi” europei. È prevedibile quindi che il Belgio cerchi di bloccare o diluire qualsiasi decisione positiva in sede UE, anche se sostenuta dalla maggioranza.
Qualora l’espropriazione dei 140 miliardi venisse approvata entro fine 2025, vanno considerate le contromisure di Mosca. Il 30 settembre Vladimir Putin ha firmato un decreto che accelera la privatizzazione dei beni statali tramite Promsvyazbank (PSB) per sostenere la capacità difensiva. Nel quadro di tale politica sono previste misure di confisca reciproca nei confronti dei beni dei paesi occidentali. Il provvedimento è stato adottato in risposta alle azioni dell’Unione europea e degli Stati Uniti e al regime sanzionatorio anti-russo.
Sul piano globale, una simile mossa comporterebbe rischi reputazionali rilevanti per l’intero blocco UE e per l’Occidente. Il sequestro e l’espropriazione delle attività di uno Stato sovrano, non dei soli interessi maturati, costituirebbero un precedente senza paragoni nel diritto internazionale. È ragionevole attendersi una stagione di contenziosi e, soprattutto, una fuga di investitori istituzionali e detentori di riserve, dai fondi sovrani del Golfo alla Cina e all’India.
L’effetto politico sarebbe un ulteriore irrigidimento della frattura tra “Occidente collettivo” e “Sud globale”, con un’accelerazione degli sforzi dei BRICS verso strumenti finanziari e sistemi di pagamento autonomi. Uno scenario che gli Stati Uniti, sotto la presidenza di Donald Trump, guardano con particolare preoccupazione.








