Si è da poco conclusa a Pechino la cerimonia per gli ottant’anni della vittoria nella Seconda guerra mondiale in Cina. Questa solenne ricorrenza non può essere isolata dal contesto dell’incontro epocale avvenuto a Tianjin durante il vertice dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Gli attori sono cambiati: una simbolica sostituzione tra Modi, leader indiano, e Kim Jong-un, leader della Corea del Nord. Un passaggio da un contesto prevalentemente economico a uno chiaramente militare, che riflette un mondo multipolare senza alcun attore dominante.
Tutto ciò emerge anche nelle reazioni ironiche, ma non troppo, del presidente statunitense Trump, che ha inviato auguri e congratulazioni a Xi Jinping chiedendo di trasmettere i saluti a Putin e Kim Jong-un, accusati di “cospirare contro gli Stati Uniti”.
Si tratta di un chiaro segnale della crescente apprensione americana di fronte alla nascita di un nuovo equilibrio in Asia, accentuato dall’espansione dei BRICS e dalla crescente interconnessione tra Russia, Cina e Corea del Nord.
I media italiani hanno accolto la parata con toni allarmistici e struggenti: il Corriere della Sera l’ha definita uno “show in tre atti”, evidenziando teatralità e resa simbolica del potere, mentre La Repubblica ha parlato di “la Cina mostra i muscoli con carri armati e armi spaziali”, leggendo la parata come una sfida diretta agli Stati Uniti e all’Europa. Federico Rampini, sul Corriere, ha denunciato un revisionismo storico da parte di Xi, finalizzato a riscrivere la resa del Giappone per trasformare la cerimonia in propaganda ideologica.
In realtà, chi sta sfidando il resto del mondo è l’Occidente stesso, e in particolare l’Unione Europea, con il suo assurdo piano di riarmo che, oltre a risultare inutile sotto molti aspetti, rappresenta un vero guanto di sfida lanciato verso Mosca e i suoi alleati. Il programma Readiness 2030 prevede di mobilitare fino a 800 miliardi di euro, tra fondi militari ad hoc e risorse precedentemente destinate a coesione e sviluppo civili, con una spesa difensiva europea che nel 2024 ha raggiunto 343 miliardi, in crescita del 19%, e con un target NATO al 5% del PIL entro il 2035.
Intanto, la crisi energetica in Italia e Germania continua a mordere. Con un prezzo medio dell’energia elettrica all’ingrosso tra 120 e 127 €/MWh, quasi il doppio rispetto a Francia e Spagna, le imprese del terziario lamentano bollette più alte del 24% (e gas +27%) rispetto all’anno precedente. Le sanzioni alla Russia hanno innescato una spirale: l’Europa ha perso l’accesso a fonti energetiche vantaggiose, sostituite da gas liquido americano molto più costoso, provocando un’impennata dei prezzi fino al +70%, mentre la Russia consolida rapporti con Asia, Medio Oriente e America Latina.
Il risultato è un’autocondanna economica.
In Germania la BDI parla apertamente di “deindustrializzazione”, in Italia Confindustria avverte che 150mila piccole e medie imprese rischiano la chiusura.
È in questo contesto che assume un significato dirompente il progetto Forza Siberia 2, l’accordo tra Mosca e Pechino destinato a stravolgere gli equilibri globali del gas. Con una capacità stimata di 50 miliardi di metri cubi all’anno, il nuovo gasdotto non solo consoliderà la Cina come principale mercato di sbocco per il gas russo, ma segna anche la definitiva sostituzione dell’Europa con l’Asia come partner energetico strategico. Ogni metro di tubatura che si posa in direzione orientale equivale a un chiodo piantato sulla bara della dipendenza europea dal gas russo. Berlino e Bruxelles hanno scelto l’autolesionismo con le sanzioni e con il sabotaggio del Nord Stream, ma Mosca risponde spostando il baricentro energetico del pianeta: dall’Ovest all’Est. Non è un caso che analisti tedeschi parlino di “suicidio economico” e che la stampa asiatica descriva il progetto come “la nuova Via della Seta dell’energia”. Forza Siberia 2 è, di fatto, la risposta geopolitica definitiva al tentativo occidentale di strangolare l’economia russa: a perdere saranno soprattutto l’Europa e la Germania, che si ritrovano senza gas e senza industria, mentre Mosca e Pechino aprono la strada a un mercato energetico alternativo, indipendente e concorrenziale.
A completare il quadro grottesco, basti pensare alla recente vicenda della presunta interferenza GPS sull’aereo di Ursula von der Leyen mentre sorvolava la Bulgaria. NATO e funzionari hanno bollato il fatto come parte delle “minacce ibride” russe, un campanello d’allarme per lo stato della difesa europea.
Tuttavia, Flightradar24 ha mostrato dati tecnici che ridimensionano il caso: il transponder dell’aereo manteneva un ottimo livello di segnale GPS e l’intero volo è durato solo nove minuti in più del previsto; nessuna perdita di navigazione significativa. L’esperto Stephen Bryen ha aggiunto che i jet commerciali dispongono di sistemi di navigazione multipli che rendono inefficace qualsiasi jamming.
Eppure, stampa e agenzie hanno rilanciato la notizia con titoli drammatici: “jamming russo”, “attacco elettronico”, trasformando una normale anomalia tecnica in propaganda politica. Il maldestro uso politico di un evento impreciso ha trasformato il GPS di Von der Leyen in uno sketch, con i leader UE ridotti ad attricette dell’avanspettacolo, più vicine al teatrino del loro idolo Zelensky che a una seria classe dirigente.
Le immagini di Pechino mostrano invece la cruda verità: la Russia non è affatto isolata, stringe accordi strategici destinati a durare decenni, e la guerra che l’Ue sta sostenendo in Ucraina rischia di trasformarsi nel suicidio economico e forse militare della vecchia Europa.