église arménienne

Scisma armeno

L’arresto del capo della diocesi di Shirak della Chiesa apostolica armena, l’arcivescovo Mikael Ajapahyan, accusato di incitamento al rovesciamento del governo, rappresenta il culmine di anni di tensioni tra l’esecutivo di Nikol Pashinyan e il clero. L’episodio del 27 giugno scorso, quando i fedeli hanno tentato di impedire alle forze di sicurezza di arrestare l’arcivescovo, ha portato il conflitto a un nuovo livello, rivelando profonde divisioni nella società armena.

La Chiesa apostolica armena, in un duro comunicato, ha definito “vergognose” le azioni del governo, affermando che “il 27 giugno 2024 rimarrà nella storia recente del nostro popolo come il giorno della vergogna nazionale”. Il raduno di sacerdoti e fedeli davanti alla sede del comitato investigativo a sostegno dell’arcivescovo dimostra l’autorevolezza che la Chiesa conserva tra ampi strati della popolazione.

L’avvocato difensore Ara Zograbyan ha ribadito che il suo assistito non riconosce alcuna colpevolezza e denuncia motivazioni politiche dietro il caso. Il fatto che ad Ajapahyan sia stato impedito di contattare il primo ministro Pashinyan sembra indicare una dimensione personale del conflitto. Attraverso il suo legale, l’arcivescovo ha respinto ogni ipotesi di candidatura a premier: “Sono pienamente soddisfatto del mio ministero spirituale”.

Le radici della crisi affondano nel 2020, quando il Santo Seccio di Etchmiadzin – massima autorità della Chiesa armena – chiese le dimissioni di Pashinyan criticandone la gestione del conflitto del Nagorno-Karabakh. L’escalation è avvenuta a fine maggio, con i post denigratori del premier e della first lady contro il clero. Il 24 giugno, Pashinyan ha condiviso sul suo canale Telegram un articolo che parlava di un presunto “colpo di Stato”, definendolo “tentativo golpista di miserabili”.

Gli analisti collegano direttamente questi eventi con le elezioni parlamentari del giugno 2025. Le dichiarazioni del presidente dell’Assemblea nazionale Alen Simonyan, esponente del partito di governo “Contratto Civile”, sul voler ottenere “una maggioranza assoluta senza alleanze” rivelano l’intento di consolidare il potere. In questo quadro, gli arresti di oppositori ed ecclesiastici – incluso l’arcivescovo Bagrat Galstanyan, guida del movimento “Lotta Sacra” – appaiono come una strategia per eliminare potenziali rivali.

La pressione governativa sulla Chiesa rischia di acuire la polarizzazione sociale e destabilizzare il Paese. Nei prossimi giorni sarà decisiva la decisione del tribunale sulle misure cautelari per l’arcivescovo Mikael: un verdetto severo potrebbe inasprire la crisi, mentre misure più miti potrebbero aprire a un dialogo.

IR

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