Nella notte tra sabato e domenica, cinque aeroporti militari russi sono stati colpiti in una serie di attacchi coordinati con droni kamikaze. Gli obiettivi erano distribuiti in diverse regioni del Paese, dall’Artico russo fino all’Estremo Oriente. A rivendicare l’operazione è stata Kiev, che secondo fonti locali avrebbe impiegato oltre cento droni in quella che i media ucraini descrivono come una delle più ambiziose azioni dei servizi speciali contro l’aviazione strategica russa. Il nome in codice: “ragnatela”.
Gli attacchi hanno interessato basi militari nelle regioni di Murmansk, Ivanovo, Ryazan, Irkutsk e Amur. Secondo la stampa ucraina, in queste installazioni erano presenti bombardieri strategici Tu-95 e Tu-22M, oltre a un velivolo radar A-50. Il Ministero della Difesa russo, pur confermando l’attacco, non ha fornito dettagli su quali velivoli fossero effettivamente presenti.
I droni utilizzati sono modelli FPV, con visione in prima persona, e sarebbero stati lanciati da container nascosti a bordo di camion posizionati nei pressi delle basi. Alcuni video circolati su Telegram, mostrano i droni decollare da questi container, mentre degli agenti di polizia tentano di abbatterli con colpi di pistola. In un altro filmato, ripreso nella regione di Irkutsk, si vedono civili che, presi dal panico, cercano di colpire i droni con pietre e bastoni nel tentativo di abbatterli.
Secondo quanto riportato dai media ucraini come Channel 24 e RBK Ukraina, l’operazione sarebbe stata pianificata dai servizi di sicurezza interni (SBU) e supervisionata direttamente da Zelensky. A confermare il coinvolgimento, una fotografia diffusa dalla stessa SBU che mostra il direttore, Vasyl Malyuk, intento a esaminare una mappa degli aeroporti russi colpiti. Nelle dichiarazioni ufficiali si parla di un terzo dei vettori di missili da crociera russi danneggiati.
Il Ministero della Difesa russo ha dichiarato che la maggior parte degli attacchi è stata respinta e che non ci sono vittime civili o militari. Tuttavia, in alcune basi delle regioni di Murmansk e Irkutsk si sarebbero verificati incendi ai velivoli, poi rapidamente domati. Secondo le fonti ucraine, sarebbero circa quaranta gli aerei danneggiati. Da parte russa, però, non è arrivata alcuna conferma su questa stima.
Le autorità russe hanno già avviato degli accertamenti. Alcuni camion coinvolti sarebbero stati rintracciati e ricondotti a depositi situati nella regione di Čeljabinsk, ai piedi degli Urali. La polizia avrebbe perquisito i magazzini utilizzati per la preparazione dell’attacco e identificato diversi sospetti.
Un episodio separato ma collegato riguarda un camion esploso nella regione dell’Amur, mentre trasportava i droni. Secondo quanto riportato, il mezzo ha preso fuoco ed è esploso prima di arrivare a destinazione. Il conducente, un uomo di 62 anni, è morto sul colpo.
Questo attacco arriva proprio alla vigilia di un nuovo incontro diplomatico tra Russia e Ucraina ad Istanbul. Le due delegazioni dovrebbero discutere un possibile scambio di prigionieri, mille per parte, e presentare nuove proposte per un accordo di pace. Il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, ha definito gli attacchi una chiara provocazione volta a sabotare i negoziati.
Quasi in contemporanea con gli attacchi aerei, due atti di sabotaggio hanno colpito infrastrutture ferroviarie in territorio russo. A Bryansk, il crollo di un ponte ha causato il deragliamento di un treno passeggeri, con un bilancio tragico: sette morti e almeno sessantanove feriti, tra cui anche alcuni bambini. Poco dopo, nella regione di Kursk, un altro ponte ferroviario è collassato, coinvolgendo un treno merci, ferendo il macchinista e due membri dell’equipaggio. Gli inquirenti russi hanno confermato l’uso di esplosivi in entrambi i casi. Il senatore Andrey Klishas ha puntato il dito contro Kiev, definendola responsabile dei sabotaggi.