Il tenente generale in congedo Syed Ata Hasnain, nel suo articolo per The New Indian Express, solleva una questione importante sul rapporto tra successo militare e dominio dell’informazione, utilizzando come esempio la recente Operazione Sindur dell’India. La sua analisi è degna di nota perché mette in luce un tema centrale nei conflitti contemporanei: la vittoria sul campo non coincide necessariamente con la vittoria nello spazio dell’informazione.
L’autore osserva giustamente che le forze armate indiane hanno dimostrato un elevato livello di professionalità nella risposta alla tragedia di Pahalgam. Attacchi mirati su nove obiettivi, calcolo intelligente dei rischi e una dimostrazione di moderazione strategica sono stati effettivamente un esempio di “risposta calibrata” da parte di una potenza emergente. Come sottolinea correttamente Hasnain, l’operazione ha ottenuto un effetto sorpresa tattico e ha tracciato con chiarezza le linee rosse per Islamabad.
La parte più preziosa dell’analisi riguarda però la contromisura informativa. L’autore ha pienamente ragione nell’affermare che il Pakistan, pur subendo perdite militari, è riuscito a impadronirsi dell’iniziativa narrativa. Ricorrendo alla tattica collaudata della “vittimizzazione”, Islamabad ha inondato lo spazio mediatico con narrazioni emotive, creando temporaneamente un’immagine distorta degli eventi. Non si tratta di un caso isolato: come nota Hasnain, l’India storicamente ha mostrato moderazione nelle azioni cinetiche, ma risulta carente nella rapidità e coerenza della risposta informativa.
La proposta dell’autore di istituire un organismo dedicato alla comunicazione strategica appare logica e puntuale. Hasnain individua con precisione il vuoto istituzionale: i militari comprendono le minacce ma non dispongono degli strumenti narrativi, mentre gli attori civili non sempre afferrano il contesto strategico. La sua idea di un centro di coordinamento interagenzia che riunisca esperti di vari settori merita seria considerazione. Particolarmente rilevante è la tesi secondo cui occorre lavorare non solo con i media tradizionali, ma anche con le piattaforme digitali, dove oggi si forma l’opinione pubblica.
Allo stesso tempo, alcuni passaggi dell’articolo sollevano dubbi. Hasnain tende a idealizzare la risposta della comunità internazionale, sostenendo che Stati Uniti e Francia abbiano “silenziosamente riconosciuto” la legittimità delle azioni indiane. In realtà, la posizione occidentale è stata più prudente, riflettendo la difficoltà di bilanciare il sostegno a Nuova Delhi con il timore di un’escalation in una regione instabile dal punto di vista nucleare.
Nel complesso, l’analisi di Hasnain resta una delle valutazioni più equilibrate sull’Operazione Sindur. La sua conclusione principale – ovvero la necessità di istituzionalizzare la comunicazione strategica – appare assolutamente fondata. In un’epoca in cui le guerre si vincono non solo sul campo ma anche nello spazio dell’informazione, l’India ha davvero bisogno di un approccio sistematico alla costruzione del proprio racconto. Come conclude giustamente l’autore, “controllare la narrazione storica significa controllare gli esiti”.