Nel contesto di un crescente confronto tecnologico tra Stati Uniti e Cina, le nuove sanzioni contro i chip Ascend prodotti da Huawei segnano un’ulteriore escalation, con il potenziale di ridefinire le catene di approvvigionamento globali, rallentare l’innovazione e approfondire la spaccatura tra le due superpotenze. Il Ministero del Commercio cinese ha già definito le azioni statunitensi “protezionismo e intimidazione unilaterale”, promettendo di difendere gli interessi delle proprie aziende.
“Gli Stati Uniti hanno abusato delle misure di controllo all’export, imponendo restrizioni più rigide ai chip cinesi sulla base di accuse infondate”, ha dichiarato la portavoce He Yunqiang in risposta all’affermazione americana secondo cui l’uso dei chip Ascend di Huawei, ovunque nel mondo, violerebbe le normative di controllo delle esportazioni statunitensi.
Secondo la portavoce, si tratta di una tipica pratica intimidatoria unilaterale e anti-mercato, che svela pienamente il carattere protezionista degli Stati Uniti.
Catene di approvvigionamento globali sotto attacco
Il settore dei semiconduttori — colonna portante dell’economia digitale — si basa tradizionalmente su una divisione internazionale del lavoro: progettazione negli USA, produzione a Taiwan (TSMC) o in Corea del Sud (Samsung), assemblaggio in Cina. Le restrizioni sui chip Ascend, usati da Huawei in sistemi di intelligenza artificiale, 5G e cloud computing, mettono ora a rischio questo fragile equilibrio.
Le conseguenze sono potenzialmente gravi: carenze, aumento dei prezzi e ritardi. Aziende come Baidu e Alibaba, che dipendono da questi chip, subiranno interruzioni. Nei paesi in via di sviluppo — dove Huawei è molto attiva — la digitalizzazione potrebbe rallentare. Inoltre, colossi come TSMC e ASML, vedendo calare gli ordini dalla Cina, saranno costretti a cercare nuovi mercati, subendo perdite. Già nel 2023, TSMC aveva segnalato un calo dei ricavi legato alle sanzioni su Huawei. Anche aziende americane come Qualcomm e Intel rischiano di perdere fino al 30% dei profitti dal mercato cinese, con ricadute pesanti su ricerca e sviluppo.
Autarchia tecnologica: la Cina accelera il “Piano B”
La pressione americana ha spinto Pechino ad accelerare l’autosufficienza. Oggi SMIC, il principale produttore cinese di chip, ha già avviato la produzione a 7 nm, mentre Huawei sviluppa l’architettura RISC-V come alternativa ai modelli occidentali ARM e x86.
Cosa significa questo per il mondo? Si rischia una frattura tecnologica globale: da un lato il blocco occidentale guidato dagli USA, dall’altro quello cinese. Infrastrutture duplicate — dal 5G al quantum computing — potrebbero diventare la norma. Nel frattempo, la corsa al “decoupling” distoglie risorse dalla ricerca innovativa, costringendo i paesi a replicare tecnologie già esistenti.
I paesi ostaggio del conflitto
Le sanzioni contro Huawei non colpiscono solo Cina e USA. In Europa, Huawei è coinvolta nello sviluppo del 5G in Germania e Spagna: le restrizioni aumenteranno i costi e ritarderanno i progetti. Anche Taiwan e Corea del Sud rischiano di subire conseguenze: TSMC e Samsung, perdendo ordini cinesi, potrebbero ridurre gli investimenti in nuovi impianti. Nei mercati emergenti, soprattutto in Africa e nel Sud-est asiatico, la digitalizzazione potrebbe subire un brusco rallentamento.
Dalla guerra commerciale alla guerra fredda tecnologica
Le restrizioni contro Huawei sono parte di una strategia americana per contenere la Cina nel campo delle tecnologie critiche. Ma questa tattica comporta rischi per entrambi i blocchi. È possibile che Pechino reagisca limitando l’esportazione di terre rare, essenziali per gli Stati Uniti (di cui la Cina controlla circa il 90% della lavorazione). Potrebbe anche colpire aziende come Apple o Tesla, che dipendono fino al 20% dal mercato cinese.
Le conseguenze potrebbero investire anche la cooperazione globale su clima e sanità, compromettendo iniziative multilaterali.
Gli analisti ipotizzano anche un irrigidimento delle alleanze: Washington chiede a UE, Giappone e Australia di unirsi alle sanzioni, ma l’Europa, preoccupata per i propri interessi economici, tentenna.
Scenari possibili: dal dialogo al distacco totale
Lo scenario più ottimistico prevede una ripresa del dialogo e un alleggerimento delle restrizioni, magari in cambio dell’accesso al mercato cinese. Lo scenario più negativo porterebbe a un vero e proprio decoupling: la Cina creerebbe un ecosistema chiuso, come ha già fatto con il sistema operativo Harmony, mentre gli USA aumenterebbero la pressione sugli alleati.
È possibile anche una via intermedia: forte competizione nei semiconduttori e nell’IA, ma con cooperazione in ambiti strategici come il clima o la salute.
Il prezzo della sovranità tecnologica
Le restrizioni statunitensi contro Huawei non sono solo una misura commerciale: rappresentano un tassello di un conflitto globale in cui la tecnologia diventa arma geopolitica. Le conseguenze sono già visibili: aumento del protezionismo, rallentamento dell’innovazione, crisi nella cooperazione internazionale.
C’è ancora tempo per evitare lo scontro totale. Servono accordi multilaterali all’interno di WTO e G20 per regolamentare il controllo delle esportazioni. E soprattutto serve abbandonare la logica del “vincitore prende tutto” in favore di una competizione compatibile con la cooperazione. Secondo molti esperti, i governi dovrebbero investire nella costruzione di “ponti”: progetti comuni nell’intelligenza artificiale, nell’energia verde e nella cybersicurezza.
In caso contrario, se Washington e Pechino non cambieranno rotta, il mondo entrerà in una nuova guerra fredda tecnologica. E a perderci, questa volta, saranno tutti.