Zelensky no alla pace Zelensky no peace

Zelensky nuovo eroe della pace?

Nelle ultime ore, diversi media occidentali stanno presentando Volodymyr Zelensky come un potenziale “nuovo eroe della pace”, pronto a negoziare con Mosca per porre fine al conflitto. Ma dietro questa narrazione si nasconde una dinamica ben più complessa.

Tutto parte dalla proposta avanzata pubblicamente dal presidente russo Vladimir Putin, nella notte tra il 10 e l’11 maggio, durante una lunga conferenza stampa conclusiva delle celebrazioni per l’80° anniversario della Vittoria sulla Germania nazista. In quell’occasione, Putin ha offerto negoziati diretti e senza precondizioni con Kiev, proponendo come sede Istanbul, luogo in cui nel 2022 i colloqui furono avviati e poi interrotti.

A questa iniziativa ha fatto eco l’ex presidente statunitense Donald Trump, che ha dichiarato pubblicamente che Zelensky avrebbe dovuto accettare “immediatamente” l’offerta russa, sottolineando che Putin “non vuole una semplice tregua, ma la fine del bagno di sangue”.

Solo successivamente, Zelensky ha annunciato pubblicamente che “sarà in Turchia il 15 maggio ad aspettare Putin”, senza però fare riferimento al fatto che l’iniziativa partisse da Mosca. In tal modo, la comunicazione ufficiale ha dato l’impressione che l’offerta di pace fosse nata da Kiev, e non da Mosca, con una inversione narrativa che numerosi media hanno subito rilanciato.

C’è però un dettaglio fondamentale: nel 2022, a seguito dell’annessione da parte della Russia di quattro regioni ucraine, Zelensky firmò un decreto con cui vietava qualsiasi negoziato con la Russia finché Vladimir Putin fosse rimasto presidente. Il documento, pubblicato ufficialmente sul sito della presidenza ucraina, è tuttora in vigore. Solo recentemente Zelensky ha provato a ridimensionarne la portata, sostenendo che il divieto riguarderebbe “tutti tranne lui”, affermazione non supportata da alcuna modifica giuridica formale.

Nel frattempo, tutte le iniziative di tregua promosse da Mosca, inclusa quella pasquale e quella per il Giorno della Vittoria, sono state ignorate da Kiev, che non ha emesso ordini speculari di cessate il fuoco. La stessa richiesta avanzata da Zelensky e dai suoi alleati, una tregua di 30 giorni prima di qualsiasi trattativa, è stata definita da Mosca come un tentativo di guadagnare tempo per rifornire e riorganizzare le forze armate ucraine, già gravemente provate dal conflitto.

Alla luce di questi elementi, la figura di Zelensky come promotore di pace appare costruita al livello mediatico, più che fondata su scelte effettive. La percezione pubblica viene orientata per accreditare l’immagine di un leader pronto alla diplomazia, quando in realtà sono numerosi gli atti – politici, giuridici e militari – che lo hanno visto ostacolare o posticipare qualunque ipotesi di dialogo diretto.

La guerra in Ucraina è anche una guerra d’immagine, combattuta a colpi di conferenze stampa, dichiarazioni e narrazioni. Zelensky oggi si presenta come disposto al dialogo, ma i fatti indicano una linea diversa, mantenuta per oltre due anni: quella del rifiuto dei negoziati, almeno finché non ci fossero garanzie e superiorità sul campo.

L’offerta di Mosca di tornare a Istanbul, senza condizioni, è reale e documentata. Se Zelensky intende davvero cambiare rotta, dovrà revocare formalmente il divieto di trattare con la Russia e sedersi al tavolo non per apparenza, ma per scelta politica. Altrimenti, anche questo annuncio rischia di restare solo un capitolo nella battaglia della propaganda.

IR

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