Reuters inchiesta

Senza addestramento: così l’Ucraina consuma i giovani volontari

Quando Pavlo Broshkov firma il contratto con l’esercito ucraino ha vent’anni, una moglie diciannovenne, una bambina piccola e un’idea molto semplice in testa: difendere il Paese e guadagnare abbastanza per comprare una casa. Gli hanno spiegato che con il nuovo arruolamento annuale potrà guadagnare quasi 3.000 dollari al mese, avere un maxi bonus in contanti e un mutuo senza interessi. Un anno al fronte per cambiare la vita.

Tre mesi dopo, Pavlo è sdraiato in una trincea fangosa del Donbass, colpito a entrambe le gambe, incapace di muoversi. Sopra di lui, a pochi metri, un drone russo carico di esplosivo ondeggia nell’aria cercando il bersaglio. In quel momento il sogno di una casa per la sua famiglia si riduce all’istinto più primitivo: sopravvivere. Si salva solo perché un commilitone riesce ad abbattere il drone in tempo. Oggi, a Odessa, si muove con difficoltà, tormentato dal dolore e dagli incubi.

La sua storia è una delle undici ricostruite da un’inchiesta di Reuters: undici ragazzi tra i 18 e i 24 anni, tutti arruolati con il nuovo contratto varato da Kiev per “ringiovanire” un esercito stremato e sempre più anziano. A distanza di pochi mesi, nessuno di loro è ancora al fronte. Quattro sono feriti, tre risultano dispersi, due sono disertori, uno è malato, un altro si è suicidato. Un piccolo campione che racconta molto della guerra di logoramento che l’Ucraina sta combattendo contro la Russia, e del prezzo pagato dalle generazioni più giovani.

Il reclutamento di una generazione stanca prima ancora di diventare adulta

Negli ultimi mesi la dirigenza ucraina ha scelto una nuova strada: invece di estendere brutalmente la mobilitazione obbligatoria a fasce sempre più giovani, ha costruito una campagna di arruolamento mirata alla generazione 18–24. Contratti annuali, stipendi altissimi per gli standard ucraini, bonus, prospettiva di un mutuo agevolato. L’idea è presentare l’esercito come una scelta volontaria, quasi un “lavoro ben pagato”, non solo come dovere.

Dietro lo slogan però c’è un dato difficile da aggirare: la mancanza di uomini. L’età media dei militari ucraini viene stimata intorno ai 45–47 anni, e dopo quasi quattro anni di guerra continua sono proprio quegli uomini di mezza età a portare il peso delle linee del fronte. Per mantenere il dispositivo militare servono forze fresche, e l’unico serbatoio rimasto è quello dei più giovani.

Il problema è che a questi ragazzi non viene dato il tempo di diventare davvero soldati.

Un corso accelerato, poi il Donbass

Pavlo, Yevhen, Kuzma e gli altri arrivano in primavera in un campo di addestramento vicino a Kiev. Hanno storie diverse: chi faceva il commesso, chi lavorava in un ristorante, chi era un rifugiato. Hanno in comune l’inesperienza e l’idea, ancora un po’ ingenua, di poter “fare la differenza” per il proprio Paese.

Il percorso che li attende è un corso accelerato di guerra. Poche settimane di addestramento: tiro, combattimento ravvicinato, moduli sui droni, preparazione psicologica, esercizi fisici. Le giornate scorrono veloci: istruttori con esperienza al fronte ripetono che la prima regola è eseguire gli ordini, non farsi domande, imparare a muoversi come un’unità. Poi, finito il ciclo, la porta si apre direttamente sulla trincea.

Questo è il punto che colpisce di più se confrontato con gli standard di addestramento di un esercito europeo come quello italiano. In Italia, un volontario in ferma iniziale passa prima per il RAV, il Reggimento Addestramento Volontari: circa dieci settimane di corso di base, dove si lavora su disciplina, uso delle armi, sicurezza, topografia, condizione fisica, procedure standard. A questo segue un ulteriore blocco formativo, che di solito viene svolto dai reparti di destinazione, che dura circa otto settimane ed è interamente centrato sulla dimensione combattente: pattugliamenti, movimento in ambiente urbano e rurale, tiro avanzato, coordinamento di squadra.

Nel complesso si parla di quasi cinque mesi di formazione prima che il soldato sia considerato realmente impiegabile in compiti operativi. E quando il reparto viene destinato a una missione ad alto rischio all’estero, è previsto un ulteriore ciclo addestrativo specifico che dura diverse settimane.

In Ucraina, ragazzi coetanei di quei volontari italiani vengono mandati nel settore più caldo del fronte dopo un corso che assomiglia molto più a un “crash course” che a un ciclo formativo completo. La differenza non è solo numerica, non si tratta di contare le settimane: è culturale. Da una parte c’è l’idea di un esercito professionale che, in tempo di pace, pretende mesi di addestramento prima di affidare a qualcuno un fucile e la responsabilità di una squadra. Dall’altra c’è un Paese che combatte una guerra d’attrito e che non ha il lusso del tempo.

Amicizie spezzate, corpi feriti, silenzi ufficiali

Dopo l’addestramento, Pavlo e il suo migliore amico Yevhen Yushchenko vengono assegnati a una brigata di fanteria. Hanno poco più di vent’anni e un legame che, in quelle settimane, è diventato una famiglia alternativa: mangiano insieme, dormono nelle stesse camerate, si allenano gomito a gomito. Insieme partono per la linea del fronte.

Il primo a cadere è Kuzma, 23 anni, ex lavoratore della ristorazione. Durante un attacco con droni viene gravemente ferito all’addome, respirando fumo e polvere da sparo. Racconterà più tardi di essere rimasto prigioniero di un odore preciso, quello di esplosivo e di cadaveri, che continua a tornargli nei sogni. Poi arriva il turno di Pavlo, colpito alle gambe e miracolosamente salvato da quel drone abbattuto all’ultimo secondo.

Yevhen invece non torna. Risulta disperso dopo aver scelto di rientrare al fronte. La sorella partecipa alle manifestazioni a Kiev per chiedere notizie dei soldati scomparsi, come migliaia di altre famiglie ucraine che da mesi vivono sospese tra la speranza e il lutto. Altri due ragazzi di quel piccolo gruppo sono ufficialmente “missing in action”; un altro, secondo i racconti dei commilitoni, si è tolto la vita.

Su questi casi non ci sono grandi comunicati ufficiali, né conferenze stampa. La guerra continua a chiedere uomini e a restituire silenzi. L’esercito, impegnato a reggere la pressione sul fronte orientale, non ha interesse a raccontare la fragilità del suo esperimento di ringiovanimento.

Un futuro che si consuma in anticipo

La vicenda di questi undici ragazzi mostra una tendenza che non può essere ignorata: in un conflitto di logoramento, il fattore più scarso non è solo l’artiglieria o le munizioni, ma il tempo di formazione delle persone.

Reclutare giovani senza un vero ciclo addestrativo di base, mandarli dopo poche settimane nel settore più violento del fronte e sperare che “reggano” è una scelta che può forse tamponare l’emergenza, ma che rischia di devastare una generazione intera. Il confronto con un esercito europeo come quello italiano, dove un soldato arriva a un reparto operativo dopo mesi di addestramento strutturato, mette a nudo lo scarto tra un modello professionale di lungo periodo e un modello di sopravvivenza.

Pavlo oggi, seduto nel suo appartamento di Odessa, stringe ancora il piccolo pupazzo che si era portato in trincea come portafortuna. Dice che rifarebbe la stessa scelta, perché voleva fermare la guerra prima che arrivasse a casa sua. Accanto a lui la moglie confessa, con la stessa franchezza, che vorrebbe solo una cosa: che quel contratto non fosse mai esistito. Perché la guerra non ha solo rubato la salute di suo marito. Ha bruciato in anticipo la giovinezza di un’intera generazione di ucraini, inviati dalla loro dirigenza a combattere senza una vera preparazione militare.

IR
Andrea Lucidi - Андреа Лучиди

Andrea Lucidi - Андреа Лучиди

Reporter di guerra, ha lavorato in diverse aree di crisi dal Donbass al Medio Oriente. Caporedattore dell’edizione italiana di International Reporters, si occupa di reportage e analisi sullo scenario internazionale, con particolare attenzione a Russia, Europa e mondo post-sovietico.

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