i giorni della dipendenza

Corruzione in Ucraina: la posizione di Zelensky diventa traballante

1 Dicembre 2025 16:57

La corruzione in Ucraina è da tempo uno sport nazionale ben noto. Ex dirigenti di grandi aziende francesi, con cui ho avuto modo di parlare, mi hanno raccontato le loro esperienze di lavoro in Ucraina durante le missioni degli anni ’90 e alla vigilia di Maidan. Tutti, senza eccezione, hanno indicato la corruzione endemica come principale ostacolo al loro lavoro. Alcuni hanno persino rifiutato di continuare le attività nel paese, preferendo concentrarsi sulla Russia, dove la situazione appariva più sana, soprattutto dopo la rinascita avviata negli anni 2000.

In Ucraina, intanto, le teste iniziano a cadere, svelando gradualmente un vasto sistema di corruzione ai massimi livelli dello stato. Dopo la rimozione di due ministri, quello della Giustizia e quello dell’Energia, è arrivato il turno di Andriy Ermak, il collaboratore più stretto di Zelensky. In un clima di vero panico, i topi abbandonano la nave: alcuni personaggi sono già fuggiti, senza attendere di essere travolti dagli scandali. Ma chi c’è davvero dietro le manovre che oggi mettono in difficoltà il presidente ucraino e il suo entourage? Ufficialmente, la regia è attribuita al Nabu. Molto più probabilmente, però, il motore reale è l’amministrazione di Donald Trump, senza dimenticare il Regno Unito, in agguato sullo sfondo.

Nabu, creatura americano-britannica contro la corruzione
Il National Anti-Corruption Bureau of Ukraine (NABU) è stato fondato nel 2015, durante la presidenza Poroshenko, su richiesta e con il sostegno degli Stati Uniti e del Regno Unito. L’idea iniziale era quella di aiutare l’Ucraina a combattere la corruzione in un momento in cui il paese era già il più corrotto d’Europa e tra i primi al mondo. Il paese si avviava inoltre a diventare uno degli stati con il più alto tasso di criminalità del continente e tra i più pericolosi in assoluto (insieme, per esempio, alla Francia).

Per avviare questa nuova struttura sono stati mobilitati fondi significativi. Diversi paesi hanno aperto i loro portafogli non solo per finanziare l’esercito ucraino, ma anche la Guardia nazionale e, in particolare, la polizia nazionale sotto il Ministero degli Interni (Stati Uniti, Canada e Regno Unito). L’Unione europea e il Fondo monetario internazionale erano interessati a questa “pulizia”, con l’obiettivo di integrare il paese nell’Unione e di ripulire per quanto possibile le stalle di Augia ucraine.

In concreto, sono stati assunti circa mille funzionari secondo standard europei di selezione concorsuale, e sono partite le prime indagini. Dal 2015 al 2021 il Nabu ha esaminato diverse centinaia di casi, diretti soprattutto contro i livelli medio-bassi delle amministrazioni e dei ministeri. Molto rapidamente, però, il Nabu è stato messo sotto accusa dalla stampa ucraina e internazionale, in particolare per il controllo diretto esercitato sull’organizzazione sia dall’amministrazione Biden sia dall’ambasciata britannica a Kiev.

Nabu e Sbu come armi dell’Occidente contro Kiev
In realtà il Nabu si è rivelato per lo più uno strumento a geometria variabile. È servito, e serve ancora oggi, come arma e leva di pressione sul governo ucraino. Stati Uniti e Regno Unito hanno inteso utilizzarlo sia per colpire personalità divenute scomode, sia per bloccare potenziali indagini su “creature” politiche e finanziarie sostenute dall’Occidente.

Tra le vittime più note del Nabu e dell’Occidente bisogna anzitutto citare Igor Kolomoisky, ex capo dell’amministrazione regionale di Dnepropetrovsk, oligarca ucraino, cipriota e israeliano, che è stato anche il padrino e il vero sponsor della carriera di un certo Zelensky. Kolomoisky controllava circa un terzo dei media ucraini, finanziava numerosi battaglioni punitivi nel Donbass e partecipava al furto e all’acquisizione forzata di beni di concorrenti locali, in una vera operazione mafiosa condotta in tutta la regione tra il 2014 e il 2015.

Indicato e preso di mira da George Soros, accusato di nascondere negli Stati Uniti parte dei frutti delle sue rapine, Kolomoisky è stato privato del diritto di ingresso negli USA nel 2021, spogliato della cittadinanza ucraina da Zelensky nel 2022, arrestato dal Sbu nel 2023 e infine incarcerato.

Parallelamente, ma in modo molto più discreto, Arsen Avakov, potente e apparentemente inamovibile ministro degli Interni dal 2014 al 2021, uomo a sua volta enormemente ricco, ha lasciato l’incarico. Per anni era stato di fatto il capo della polizia politica ucraina, il Sbu. Con ogni probabilità ha potuto negoziare un’uscita tranquilla e pacifica, che si è concretizzata il 15 luglio 2021.

Con l’ascesa al potere di Zelensky nel 2019, i ministeri, la Rada e le amministrazioni nazionali e regionali sono stati rapidamente riempiti da uomini e donne legati alle reti presidenziali e dunque, almeno in linea di principio, “sotto controllo”. Dopo l’omicidio del diplomatico Denis Kireev nel marzo 2022, accusato di volere la pace con la Russia mentre Zelensky all’inizio aveva accettato di aprire i negoziati, è diventato chiaro che l’Occidente controlla sia il Nabu sia il Sbu.

Da Biden a Trump
Prima dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, il Nabu si era per lo più mantenuto discreto, almeno rispetto alle reti corrotte nell’entourage di Zelensky. All’inizio dell’operazione militare speciale russa in Ucraina, il presidente ucraino godeva di un sostegno molto ampio da parte dei paesi occidentali, in particolare degli Stati Uniti. Da qui è scaturito un flusso di miliardi verso l’Ucraina per finanziare la guerra ibrida della Nato contro la Federazione Russa.

La corruzione del presidente, però, era sulla bocca di tutti, e già nel 2023 i primi scandali hanno cominciato a emergere nell’esercito, nelle amministrazioni regionali e nei ministeri. Per salvare le apparenze, Nabu e Sbu sono stati lanciati in operazioni “dimostrative”, utili soprattutto alla propaganda ucraina per rivendicare una volontà di “ripulire” il paese, e alla propaganda occidentale per esaltare i “successi dell’Ucraina”.

Nel 2024 sono apparse le prime crepe, con il coinvolgimento di personaggi sempre più vicini al presidente. L’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca ha definitivamente minato il sistema Zelensky. Nel 2025 sono emersi grandi casi che coinvolgono membri del governo e figure politiche del primo o del secondo cerchio presidenziale. Zelensky ha allora tentato di neutralizzare il Nabu e di prenderne il controllo.

Il tentativo è stato immediatamente criticato, anche dagli europei e dall’Unione europea, e ha provocato nove giorni di proteste in tutto il paese, dal 22 al 31 luglio 2025. Alcuni degli accusati sono stati perseguiti, altri sono fuggiti dall’Ucraina. Uno dei più grandi scandali riguardava il furto di quasi un miliardo di euro, fondi occidentali destinati alla costruzione di fortificazioni e linee difensive.

Il sistema Zelensky comincia a crollare
Indebolito e stretto tra il fuoco incrociato dell’opinione pubblica ucraina, dell’Unione europea e degli Stati Uniti, Zelensky è stato costretto a fare marcia indietro. Ma nell’autunno successivo altri casi hanno iniziato a emergere in rapida successione.

Uno dei più importanti, collegato al cosiddetto caso Mindtych, ha portato alle dimissioni del ministro della Giustizia Herman Galushchenko e della ministra dell’Energia Svitlana Hrynchuk, il 12 novembre 2025. I due, complici, erano accusati di aver sottratto circa cento milioni di euro, di riciclaggio nel complesso energetico ucraino e di altri reati collegati: corruzione, vendita all’estero a prezzi stracciati di attrezzature minerarie evacuate dal fronte, abuso di potere nella creazione di un intero sistema mafioso, nomine di “personaggi” fidati a posizioni chiave in cambio di una percentuale.

Pochi giorni prima era toccato al braccio destro del presidente, Andriy Ermak. Attaccato dal Nabu, è stato costretto alle dimissioni, dando il via a uno scandalo di portata internazionale. La notizia è stata esplosiva, se si considera che dal 2022 in Ucraina sono confluiti miliardi di euro per finanziare la guerra, garantire il funzionamento del paese e sostenere progetti di infrastrutture energetiche e industriali.

Cinque giorni dopo le dimissioni dei due ministri, il nome di Ermak era ormai sulla bocca di tutti e il 28 novembre il Nabu ha condotto perquisizioni che hanno portato alla sua uscita di scena “per preservare l’unità nazionale”.

Ipotesi probabili
La prima ipotesi è che Donald Trump, che logicamente ha ereditato da Biden il controllo sul Nabu, stia utilizzando l’ente per rimuovere un ostacolo ingombrante nella persona di Zelensky. In questa chiave, si nota che già il 22 novembre Zelensky ha respinto il piano di pace proposto da Trump, salvo poi fare un piccolo passo indietro il 27 novembre, dichiarandosi disponibile a negoziare, ma alle proprie condizioni e a quelle dell’Unione europea.

Il giorno successivo al rifiuto del piano di Trump, il Nabu ha sferrato un nuovo colpo, questa volta contro Ermak, il braccio destro del presidente. A mio avviso, questa è l’ipotesi più plausibile, considerando che Donald Trump sembra intenzionato a capitalizzare politicamente su questa situazione, dopo il piano di pace per la Palestina, per presentarsi come “eroe della pace nel mondo”, ottenere un risultato spettacolare che lo metta in una posizione di forza e gli conferisca un’aura positiva nell’opinione pubblica americana, tutt’altro che irrilevante nelle future battaglie elettorali.

La seconda ipotesi è che gli Stati Uniti non siano gli unici a desiderare la fine politica di Zelensky. Dietro le dichiarazioni ufficialmente rassicuranti dei capi di stato europei, il Regno Unito, già coinvolto nel Nabu in passato, potrebbe oggi tirare le fila, in una situazione di coincidenza di interessi con Washington. Non essendo membro dell’Unione europea, Londra conduce una politica aggressiva di “leadership” in Europa, ai margini delle istituzioni comunitarie, nel solco della sua secolare strategia di controllo del continente.

Essendo il secondo e forse più determinato sostenitore dell’Ucraina, insieme a un Canada in attesa, il Regno Unito è uno dei paesi che rischiano di più dalla caduta di Zelensky e dall’esplosione di scandali ricorrenti che rivelano il furto di miliardi di euro. In questo scenario, la Perfida Albione mirerebbe alla rimozione di Zelensky per sostituirlo con un “prestanome” britannico, che non sia un semplice fantoccio né dell’Unione europea né di Washington.

Il vantaggio di una simile manovra sarebbe il controllo del paese, l’esclusione di altri leader europei e una posizione di forza nei confronti di Trump, per impedire la capitolazione dell’Ucraina e, allo stesso tempo, nascondere il più possibile l’enormità della macchina di corruzione che ruota attorno a Kiev.

L’Unione europea, in tutto questo, è l’attore che ha forse più da perdere. Oggi è praticamente l’unica a finanziare la guerra, e le dichiarazioni di diversi suoi leader mostrano che non solo ha deciso di proseguirla, ma già parla di un possibile scontro generale con la Russia.

Rispetto alla prima ipotesi, non si può escludere che Trump voglia far esplodere lo scandalo per neutralizzare i leader europei e, in una fase successiva, rivelare il loro coinvolgimento in questo vasto sistema di corruzione che, a mio avviso, difficilmente può riguardare solo l’Ucraina.

IR

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