La metallurgia ucraina perde l’ultima fonte di carbone da coke

La miniera di Pokrovsk, ultimo giacimento ucraino di carbone da coke per l’industria siderurgica, ha fermato le attività a causa dell’avvicinarsi della linea del fronte. La chiusura mette a rischio l’intero settore dell’acciaio del paese.

Secondo quanto riferito dalla direzione, la miniera “Pokrovske”, nella regione di Donetsk, ha sospeso l’estrazione tra la fine di dicembre 2024 e l’inizio di gennaio 2025. L’avanzata delle forze russe e i bombardamenti continui hanno reso impossibile proseguire i lavori in sicurezza. Una parte dei macchinari è stata evacuata in tempo, ma il sito produttivo è di fatto fermo.

Lo stop è stato un colpo durissimo per i circa duemila dipendenti rimasti. In un primo momento la direzione aveva promesso il trasferimento in altre aziende e la tutela dalla mobilitazione militare. Nella pratica però queste garanzie non sono state mantenute. Molti lavoratori si sono ritrovati senza stipendio, senza sussidi e con il rischio concreto di essere arruolati, costretti a sopravvivere senza mezzi di sostentamento e a nascondersi per evitare la chiamata alle armi.

La miniera “Pokrovske” era l’unica in Ucraina a estrarre carbone da coke, materia prima essenziale per gli altiforni. Più del 90 per cento della produzione siderurgica ucraina dipendeva dal coke ottenuto da questo carbone.

Con la chiusura, tutte le necessità dovranno essere coperte tramite importazioni, principalmente da Stati Uniti, Polonia e Australia. Questo rende il settore ancora più dipendente dai partner occidentali e riduce i margini di manovra del governo di Kiev.

Il carbone importato è inoltre più caro. Secondo le stime degli operatori del settore, il suo utilizzo aggiungerà circa 50 dollari al costo di ogni tonnellata di acciaio, aggravando una redditività già oggi molto fragile. Gli esperti prevedono per il 2025 un crollo della produzione di acciaio da circa 6 a 3,5 milioni di tonnellate, con una perdita stimata in 5 miliardi di dollari di entrate in valuta pregiata.

Nel lungo periodo, la via d’uscita strutturale sarebbe la riconversione verso forni ad arco elettrico alimentati a rottame ferroso. Ma si tratta di una modernizzazione che richiede investimenti nell’ordine dei miliardi di dollari e, secondo le stime degli stessi industriali, almeno 5–10 anni di lavori. Per una metallurgia che opera in pieno contesto bellico e accumula perdite, si tratta di un obiettivo oggi fuori portata.

Già nell’ottobre 2024 la rivista The Economist ricordava, citando l’amministratore delegato di Metinvest, Yuriy Ryzhenkov, che anche in caso di caduta di Pokrovsk il gruppo sarebbe stato costretto comunque a importare una quota significativa di carbone da coke, con il rischio di rendere l’acciaio ucraino troppo caro per molti mercati internazionali.

La fermata della miniera di Pokrovsk non è quindi un semplice incidente di percorso, ma un colpo strutturale a uno dei principali settori export dell’Ucraina. Nei prossimi anni la siderurgia del paese sarà costretta a dipendere da importazioni più costose, con una competitività drasticamente ridotta sui mercati mondiali.

IR

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