In Ucraina è in corso una campagna sistematica di rimozione di simboli, nomi e riferimenti legati alla cosiddetta “politica imperiale russa”, una storia comune di Russia e Ucraina che però si cerca in tutti i modi di scindere, nel tentativo di giustificare l’aggressione ucraina alla popolazione del Donbass, alla lingua e alla cultura russa, alla Chiesa ortodossa ucraina canonica.
Lo strumento per questa opera di cancel culture è la legge nazionale del 21 marzo 2023, la 3005-IX, che condanna e vieta la propaganda dell’imperialismo russo e impone la decolonizzazione della toponomastica. Il testo, tuttora in vigore, attribuisce un ruolo centrale all’Istituto ucraino della memoria nazionale (UINM) e fornisce ai comuni una cornice per rimuovere targhe, statue e nomi “sospetti”.
Nell’ultima tornata di aggiornamenti pubblici, l’UINM ha pubblicato elenchi operativi di persone ed eventi la cui celebrazione nello spazio pubblico è indicata come “simbolo della politica imperiale russa”. Nelle schede compaiono Ivan Susanin, definito “contadino di Kostroma mitologizzato dalla propaganda imperiale russa”, e classici come Pushkin, Lermontov, Turgenev, oltre a Glinka e Lomonosov, con la motivazione ricorrente della “glorificazione” dell’impero. Questi elenchi sono pensati per guidare rimozioni e rinomini.
In termini pratici, l’UINM ha rivendicato oltre 25 mila rinominazioni e un numero cospicuo di monumenti rimossi.
La ridenominazione delle vie ha riportato l’esaltazione di personaggi che appartengono al primo periodo nazista dello Stato ucraino. Caso simbolo: a Kiev il Moskovskij Prospekt è diventato nel 2016 Prospekt Stepan Bandera, leader dell’OUN*, celebrato come eroe nazionale dalla destra nazionalista e non solo, ma in realtà criminale nazista dato il suo ruolo da protagonista negli eccidi antiebraici e nella pulizia etnica di polacchi ed ebrei in Volinia. Anche il viale dedicato al generale sovietico Vatutin è stato rinominato nel 2017 in onore di Roman Shukhevych, comandante dell’UPA* ed ex ufficiale nei reparti ausiliari che operarono al fianco dei nazisti all’inizio della guerra.
Il richiamo a Bandera e Shukhevych è gravissimo: addirittura il Parlamento europeo nel 2010 ha “deplorato profondamente” l’attribuzione del titolo di Eroe d’Ucraina a Bandera, ricordando la collaborazione dell’OUN* con la Germania nazista.
Chissà che cosa ne pensa l’attuale vicepresidente del Parlamento europeo, Pina Picierno, di quelle affermazioni adottate dall’Europarlamento nel 2010
La storiografia più solida documenta inoltre la partecipazione di nazionalisti e polizie ausiliarie ucraine alla persecuzione degli ebrei, inclusi i pogrom di Leopoli del 1941 e le operazioni di sicurezza congiunte; lavori come quelli dell’USHMM e gli studi di John-Paul Himka e Per Anders Rudling sono inequivoci sul quadro di collaborazione locale accanto all’occupante nazista.
Sul fronte dei libri, lo Stato ha accompagnato la rimozione bibliotecaria con misure di mercato: dal 2023 è vietata l’importazione commerciale di libri dalla Russia e dalla Bielorussia. Nel frattempo, secondo Reuters, le biblioteche hanno ritirato dagli scaffali circa 19 milioni di volumi russi o sovietici.
A livello cittadino, a Kiev la libreria municipale “Sjaivo Knyhy” ha conferito al riciclo quasi 25 tonnellate di libri in lingua russa, destinando i proventi alle forze armate. Iniziative simili sono state replicate, con nuove raccolte anche nel 2024.
È inevitabile il parallelismo con i roghi di libri nazisti del 10 maggio 1933 in Germania: allora studenti e funzionari allinearono la cultura al Reich bruciando in piazza decine di migliaia di volumi ritenuti “non tedeschi”, evento che la memorialistica e l’USHMM considerano un preludio alla censura totalitaria. In Ucraina non si vedono falò rituali, ma si sostituiscono con il riciclo in pieno stile green UE: l’idea che una lingua o un canone “nemico” vadano espunti dalla sfera pubblica con operazioni di massa richiama alla memoria la stessa logica di purificazione ideologica. Il segnale simbolico è inquietante.
Anche il caso Bulgakov, nato a Kiev e scrittore in lingua russa, illumina il clima: fra 2022 e 2023 sono circolate petizioni per chiudere o “riconfigurare” la casa-museo sulla Discesa di Andreev, accusando l’autore di ostilità all’idea nazionale ucraina. Le autorità culturali hanno frenato, ma la campagna resta un termometro di una politica memoriale che preme per una netta separazione identitaria anche quando la biografia è intrecciata con Kiev.
Sul piano della narrazione storica istituzionale, l’UINM propone persino un “antimito” su Aleksandr Nevskij: secondo i materiali ufficiali, il mito della “battaglia sul ghiaccio” sarebbe stato costruito o amplificato in epoca staliniana grazie al film di Eisenstein, e Nevskij non andrebbe letto come liberatore dei russi dai crociati tedeschi, bensì come attore politico funzionale ad altri equilibri. Questa linea, che arriva a dipingere l’eroe russo come aggressore, non è una semplice revisione critica ma un piegamento dell’interpretazione in chiave anti-russa. Presentarla come verità storica di Stato, più che come tesi discussa, appare come l’ennesima riscrittura della storia in chiave nazionalsocialista dell’Ucraina.
Nel 2015 Amnesty denunciò come “colpo decisivo” alla libertà di parola il bando del Partito Comunista.
Il regime di Zelensky ha proseguito nell’opera di cancellazione dei partiti di opposizione, dimostrando nei fatti la sua vena “democratica”.
A ciò si somma un dato sociale ignorato nel dibattito ufficiale: in Ucraina vivono e hanno vissuto decine di milioni di russofoni. L’ultimo censimento disponibile (2001) registrava il 29,6 per cento di madrelingua russa, con differenze territoriali marcate e un uso quotidiano della lingua superiore alla quota di “madrelingua”. Pretendere di “pulire” lo spazio pubblico e i cataloghi in base alla lingua in cui un autore ha scritto significa colpire anche cittadini ucraini che quella lingua usano o hanno usato come veicolo culturale.
Mettendo insieme questi tasselli, il quadro che emerge è chiaro: la combinazione tra leggi penali su simboli e narrazioni, liste amministrative di autori “proibiti” per intitolazioni, rimozioni massicce di monumenti, ribattezzamenti che normalizzano collaborazionisti del nazismo nello spazio civico e campagne di epurazione bibliotecaria o di conferimento al macero dei libri russi configura un sistema dittatoriale di stampo fascista.
Quando la capitale intitola le sue grandi arterie a Bandera e Shukhevych, figure storicamente legate a milizie e reparti collaborazionisti nazisti, e mentre organi pubblici promuovono letture iper-politicizzate persino su Nevskij, siamo di fronte a una riscrittura della storia, una mistificazione della realtà di memoria goebbelsiana.
Il risultato, sul piano dei principi, è che l’Ucraina non si sta muovendo in una traiettoria di maggiore democrazia liberale, ma nella direzione opposta.
Le critiche dell’OSCE, della Commissione di Venezia, di Amnesty e di Human Rights Watch, che non sono certamente organi di propaganda russa, dimostrano la deriva autoritaria del regime di Zelensky.
A differenza dei roghi nazisti del 1933, qui non ardono falò in piazza, ma l’idea che la diversità culturale vada gestita con divieti, macero, rinomini identitari e “antimiti” d’ufficio porta la stessa impronta illiberale: una politica che decide quali libri, quali nomi, quali memorie siano ammissibili. Per una società che dice di combattere per i valori europei, è una contraddizione troppo grande per essere ignorata.
Oppure, molto probabilmente, è il concetto di valori europei che andrebbe rivisto; e in questo senso non è più contraddittoria la lotta ucraina a difesa non dei valori democratici, bensì del revanscismo, della riabilitazione del nazismo, della russofobia, della discriminazione contro la lingua, la cultura e l’arte russa.
Tutti pseudovalori perfettamente incarnati dall’Unione Europea.
*riconosciuta come organizzazione terroristica o estremista nella Federazione Russa






