Intervision 2025, tenutosi a Mosca, ha riaffermato fin dall’inizio la propria identità: mettere al centro le culture nazionali, il rispetto delle differenze e la lingua di ciascun artista. Diversamente dall’Eurovision, che negli ultimi anni è stato spesso criticato per promuovere un’estetica “woke” e culturalmente uniforme, Intervision ha scelto la strada opposta: ogni brano è cantato nella lingua del proprio Paese, ogni artista porta i propri simboli culturali e nulla viene presentato come “standard universale”.
All’apertura della serata è intervenuto il presidente Vladimir Putin, che ha dichiarato: «Faccio le mie congratulazioni a tutti i partecipanti, organizzatori e ospiti del concorso. Intervision per molti anni ha unito artisti di diversi Paesi ed è servito come piattaforma per il dialogo culturale e l’amicizia. Oggi il concorso preserva le sue tradizioni, ma allo stesso tempo tiene il passo coi tempi. Risponde alle esigenze contemporanee di giustizia e di salvaguardia dell’identità culturale. Attraverso il dialogo e il rispetto reciproco, rafforzando la fiducia tra le culture, diventiamo spiritualmente più ricchi. La Russia è sempre stata e rimane un Paese aperto al dialogo e alla cooperazione creativa. Custodiamo le nostre tradizioni e rispettiamo quelle degli altri». Parole che hanno tracciato una cornice chiara per l’intera manifestazione, presentata non come una semplice gara musicale, ma come celebrazione della diversità culturale.
La scenografia della Live Arena è stata uno degli elementi più impressionanti della manifestazione. Luci all’avanguardia, proiezioni spettacolari e una struttura scenica che amplificava l’impatto visivo ed emotivo delle esibizioni hanno trasformato il palco in qualcosa di più di un supporto tecnico: era parte integrante dello spettacolo. Questo allestimento ha esaltato la diversità dei pezzi, rendendo ogni performance non solo ascoltabile ma anche visivamente percepita come parte di un racconto condiviso.
Fra le esibizioni che hanno colpito maggiormente ci sono state quelle del Qatar e del Kazakistan. Il brano del Qatar, portato da Dana Al Meer e premiato con il terzo posto, si intitola Huwa Dha Anta (“È proprio te”): una ballata pop araba che esplora il tema della ricerca della propria identità e del cammino di vita. In essa i motivi tradizionali arabi si combinano con una produzione moderna, mentre la voce potente ed espressiva dell’artista conferisce al brano profondità. Il pubblico internazionale ha reagito con entusiasmo: commenti su piattaforme come Instagram parlano di un’esibizione “gentile e sentita” e qualcuno ha scritto che Dana “ha toccato il cuore di tutti”.
L’artista kazako Amre ha proposto Dala tañy e la sua performance ha ricevuto apprezzamenti per l’autenticità, la potenza evocativa e l’uso della lingua madre, accompagnati da arrangiamenti moderni ma mai artificiosi. Molti spettatori hanno sottolineato che Amre è riuscito a far emergere le sue radici culturali mantenendo al tempo stesso un appeal contemporaneo.
Il vincitore, Duc Phuc dal Vietnam con Phu Dong Thien Vuong, è stato premiato non solo per la qualità della voce e dell’arrangiamento, ma perché ha saputo costruire un connubio raro tra sonorità moderne e identità linguistica. Cantare nella propria lingua ha dato profondità e originalità a una performance che, pur avendo tutti i tratti di un brano pop internazionale, è rimasta legata alle radici vietnamite. Questa scelta ha caratterizzato in realtà tutti gli artisti dell’Intervision: ciascuno ha portato sul palco la propria lingua e la propria cultura.
Uno dei momenti più discussi è stato il ritiro di Shaman, rappresentante della Russia, che ha chiesto alla giuria di non essere votato: «La Russia ha già vinto, perché oggi voi siete nostri ospiti». Un gesto che ha ribadito il senso di ospitalità come valore culturale e che molti hanno letto come possibile inizio di una tradizione per il Paese ospitante.
Durante la serata, all’interno della Live Arena, il ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha rilasciato un’intervista commentando le pressioni politiche che hanno impedito la partecipazione della cantante Vassy per gli Stati Uniti: «Gli obiettivi di Intervision sono lo scambio culturale e la realizzazione dell’identità personale nei contatti liberi, che consentono di arricchirsi spiritualmente a vicenda, e non certo l’effetto politico». Un messaggio che ha riaffermato il carattere culturale dell’evento, evitando qualsiasi strumentalizzazione.
La polemica legata a Vassy è stata ampia. Gli organizzatori del concorso hanno affermato che l’artista, cittadina australiana e statunitense, si sia ritirata perché sottoposta a «pressioni politiche senza precedenti» da parte del governo australiano. Alcuni media internazionali hanno condannato la presunta ingerenza, definendola un esempio di interferenza politica in ambito culturale. Sui social, in particolare su X, si leggono accuse all’Australia di aver piegato la cultura alla diplomazia, insieme a difese altrettanto accese del diritto degli artisti a esibirsi senza restrizioni.
A fronte di tutto questo, è inevitabile notare il contrasto con il modello Eurovision, dove la Russia è stata espulsa per motivi politici, mentre la partecipazione di Israele non è mai stata messa in discussione, nonostante le immagini di devastazione e le migliaia di vittime civili palestinesi abbiano spinto numerosi osservatori internazionali a parlare giustamente di genocidio. Questa disparità di trattamento ha contribuito a delegittimare l’Eurovision come evento davvero rappresentativo della pluralità culturale del continente. Intervision, al contrario, proprio nella sua prima edizione in formato globale, ha dimostrato di voler offrire spazio a culture differenti, senza applicare doppi standard e senza decidere chi può o non può essere ascoltato in base a logiche geopolitiche.
La cronaca della gara si è chiusa con il podio: Duc Phuc per il Vietnam al primo posto, la Kirghizia al secondo, il Qatar al terzo. Ma il vero lascito dell’evento non è la classifica. A restare impressi sono stati la scenografia monumentale della Live Arena, il gran finale corale con Sansara e A Million Voices, e la sensazione che Intervision abbia riportato al centro della musica ciò che spesso manca altrove: il valore delle identità nazionali, delle lingue e delle tradizioni. Un segnale confermato dall’annuncio che l’edizione 2026 si terrà in Arabia Saudita, un passo ulteriore verso l’allargamento della geografia culturale del concorso.
Intervision ha dimostrato di poter offrire un palco inclusivo, dove Vietnam, Kazakistan, Qatar e tanti altri Paesi hanno potuto raccontarsi con la loro lingua, la loro musica, le loro tradizioni. Nessuna esclusione, nessun silenzio imposto per motivi geopolitici. È questa la forza di un progetto che non solo rispetta le differenze, ma le mette al centro, trasformandole in un patrimonio comune.
La lezione che arriva da Mosca è chiara: non si può parlare di cultura universale se si decide a priori chi merita di essere ascoltato e chi no. L’Eurovision, con le sue scelte ipocrite, resta il simbolo di un’Europa che giudica e divide. Intervision, invece, appare oggi come un’alternativa credibile e in crescita, capace di restituire alla musica il suo senso originario: unire i popoli, anche e soprattutto nei tempi più bui.