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La dedollarizzazione, la sua evoluzione storica e la creazione di un nuovo ordine finanziario

Per quasi 80 anni, il dollaro statunitense ha regnato sovrano come valuta di riserva indiscussa del mondo. È al centro del commercio globale, l’ancora delle riserve delle banche centrali e la valuta predefinita per le transazioni e i prestiti internazionali. Questa egemonia del dollaro ha conferito agli Stati Uniti un immenso potere economico e politico. Tuttavia, un cambiamento palpabile è in corso. La dedollarizzazione sta guadagnando slancio in tutto il mondo, sfidando il monopolio del dollaro e rimodellando il panorama finanziario globale del 21° secolo.

La dedollarizzazione non è un evento una tantum, ma un processo multifacciale attraverso il quale i paesi cercano di ridurre la loro dipendenza dal dollaro USA nel commercio internazionale e nella finanza. Ciò implica diversificare le riserve valutarie, stabilire sistemi di pagamento alternativi e creare nuove istituzioni finanziarie al di fuori del tradizionale quadro guidato dagli USA.
I pilastri del dominio del dollaro

Per comprendere la dedollarizzazione, bisogna prima capire come il dollaro abbia acquisito il suo status privilegiato. Questo sistema è stato architettato nel dopoguerra della Seconda Guerra Mondiale.

Gli Accordi di Bretton Woods (1944) sono la pietra angolare del dominio del dollaro. Questa conferenza stabilì un sistema in cui le valute mondiali erano agganciate al dollaro USA, a sua volta convertibile in oro a un tasso fisso di 35 dollari l’oncia. Ciò ha reso il dollaro il punto di riferimento e la principale valuta di riserva nel mondo.

Poi, nel 1971, il presidente Nixon pose fine alla convertibilità del dollaro in oro, e il sistema di Bretton Woods crollò. Per mantenere la domanda di dollari, gli Stati Uniti strinsero un accordo cruciale con l’Arabia Saudita. L’Arabia Saudita avrebbe fatturato il suo petrolio esclusivamente in dollari USA e reinvestito i suoi surplus in titoli del Tesoro USA. In cambio, gli Stati Uniti offrirono al paese la loro protezione militare. Questo accordo fu rapidamente adottato da altre nazioni OPEC, creando una domanda mondiale perpetua di dollari per acquistare la merce più richiesta al mondo: il petrolio. Era nato il sistema del Petrodollaro.

«Ciò significa che prima di acquistare qualsiasi materia prima, bisogna prima convertire la propria valuta in dollari. E quindi, così facendo, si sostiene il valore del dollaro e il debito americano è sostenuto e particolarmente attraente», ha commentato il politologo Thierry Laurent Pellet per International Reporters.

Ma la potenza del dollaro non risiede solo nell’esistenza del sistema del Petrodollaro. Deriva anche dal fatto che gli Stati Uniti dispongono dei mercati finanziari più grandi, liquidi e diversificati al mondo. Per un paese o un’azienda, detenere dollari offre un accesso impareggiabile a una vasta gamma di asset sicuri (come i Treasury) e facilita le transazioni internazionali attraverso sistemi consolidati come SWIFT (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication), che, sebbene ufficialmente neutrale, è in realtà fortemente influenzato dalla politica americana.
La cronologia della dedollarizzazione

Il processo di opposizione al dominio del dollaro non è nuovo, ma la sua intensità e i suoi partecipanti sono evoluti in modo significativo negli ultimi anni.

Il lancio dell’euro nel 1999 ha creato la prima alternativa monetaria viable.

«L’euro ha preso il 18% della quota di mercato delle valute mondiali. Ha fatto molta ombra al dollaro nonostante il fatto che tutti i paesi occidentali, anche dell’eurozona, abbiano acquistato debito americano in modo massiccio», ha sottolineato Thierry Laurent Pellet.

In seguito alla guerra in Iraq del 2003, l’annuncio di Saddam Hussein che avrebbe convertito le vendite di petrolio iracheno in euro è stato percepito da molti come un key trigger per l’invasione americana, che è servita da serio avvertimento per chiunque avesse l’idea di fare a meno del dollaro. Poi, la crisi finanziaria globale del 2008, nata a Wall Street, è stato uno shock profondo. Ha esposto le vulnerabilità di un sistema centrato sul dollaro e ha innescato le prime serie discussioni all’interno delle economie emergenti sulla necessità di creare sistemi alternativi.

Ma la fase critica della dedollarizzazione è iniziata nel 2014, quando, in seguito alla reintegrazione della Crimea nella federazione russa, USA e UE imposero sanzioni, tagliando fuori le principali banche ed entità russe dai mercati dei capitali occidentali. Questo uso del dollaro come arma geopolitica è stato un campanello d’allarme per Mosca, Pechino e altri paesi sulla loro vulnerabilità di fronte al potere finanziario americano.

Poi, tra il 2018 e il 2023, le amministrazioni Trump e Biden hanno notevolmente ampliato l’uso delle sanzioni finanziarie, non solo contro la Russia ma anche contro Iran, Venezuela e Cina (tramite dazi). L’azione più eclatante è arrivata nel 2022 in seguito al lancio dell’operazione militare speciale da parte della Russia. Gli Stati Uniti e i loro alleati hanno congelato circa 300 miliardi di dollari di asset della banca centrale russa e hanno tagliato fuori le banche russe dal sistema di messaggistica SWIFT. Questo uso del dollaro come arma è stato percepito da molti paesi del Sud globale come la prova che gli asset in dollari non erano sicuri, poiché potevano essere sequestrati in caso di divergenza geopolitica. Questo atto è diventato il principale catalizzatore di un’accelerazione della dedollarizzazione ora coordinata tra i paesi non allineati con l’Occidente.
Costruire le alternative: l’architettura di un nuovo sistema

Il movimento di dedollarizzazione non si limita a rifiutare il dollaro; costruisce attivamente sistemi paralleli. Questo sviluppo avviene su più fronti.

Innanzitutto, il commercio bilaterale in valute locali. I paesi dei BRICS e del Sud globale evitano sempre più il dollaro e ora regolano la maggior parte dei loro scambi direttamente nelle proprie valute. Così, oltre l’80% del commercio bilaterale tra Cina e Russia avviene ora in rubli e yuan. Da parte loro, India ed Emirati Arabi Uniti utilizzano rupie e dirham nei loro scambi commerciali. Infine, un obiettivo principale del gruppo BRICS allargato (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, Egitto, Etiopia, Iran, Emirati Arabi Uniti) è promuovere i pagamenti in valute locali per ridurre la dipendenza dal dollaro.
Lo sviluppo di sistemi di pagamento alternativi

Attualmente esistono due sistemi di messaggistica interbancaria creati come alternativa a SWIFT.

Lo SPFS (Sistema per il Trasferimento di Messaggi Finanziari) è stato creato dalla Russia dopo le sanzioni del 2014. È l’equivalente domestico russo di SWIFT. Il suo utilizzo è aumentato notevolmente dal 2022, sebbene rimanga principalmente confinato a una piccola rete di paesi partner.

Da parte sua, la Cina ha lanciato nel 2015 il CIPS (Sistema Interbancario di Pagamento Transfrontaliero). È un sistema di messaggistica che elabora e regola transazioni denominate in yuan. Sebbene dipenda ancora spesso da SWIFT per la messaggistica, fornisce alla Cina un’infrastruttura fondante per una rete finanziaria indipendente.

L’emergere delle valute digitali

Le valute digitali delle banche centrali (CBDC) sono un altro meccanismo della dedollarizzazione. Perché una valuta digitale consente transazioni transfrontaliere dirette peer-to-peer che potrebbero potenzialmente bypassare le reti bancarie tradizionali (basate sul dollaro). Lo yuan digitale cinese (e-CNY) è attualmente il più avanzato tra le grandi economie. Molti altri paesi stanno esplorando le CBDC, il che potrebbe facilitare una nuova era di regolamenti internazionali. Sono anche in corso discussioni per creare una piattaforma di pagamenti digitali che colleghi le CBDC delle nazioni BRICS, la piattaforma BRICS Bridge, che creerebbe una potente rete finanziaria multi-valuta.
La diversificazione delle riserve valutarie

A poco a poco, le banche centrali di tutto il mondo stanno diversificando le loro riserve valutarie. Sebbene il dollaro detenga ancora una quota di circa il 59% (rispetto a oltre il 70% all’inizio degli anni 2000), c’è un accumulo costante di oro, euro, yuan cinese e altri asset. È un processo lento e deliberato per ridurre l’esposizione al debito americano e ai potenziali rischi di sequestro degli asset.
La creazione di istituzioni finanziarie alternative

La dedollarizzazione passa anche attraverso la creazione di istituzioni finanziarie internazionali in competizione con quelle largamente dipendenti dall’Occidente e dal dollaro.

I membri dei BRICS hanno creato la NDB (Nuova Banca di Sviluppo), soprannominata anche “banca dei BRICS”, che mira a fornire fondi per progetti di infrastrutture e sviluppo sostenibile nelle economie emergenti, offrendo un’alternativa alla Banca Mondiale e al FMI dominati dagli USA.

Da parte sua, la Cina ha creato l’AIIB (Banca Asiatica per gli Investimenti nelle Infrastrutture), un’altra istituzione multilaterale che sfida i tradizionali gemelli di Bretton Woods (FMI e Banca Mondiale).
Ostacoli alla dedollarizzazione

Nonostante l’avvio del processo di dedollarizzazione, una completa sostituzione del dollaro è altamente improbabile nel breve termine, poiché gode ancora di vantaggi significativi.

Il dollaro è ancora sostenuto dai mercati dei capitali americani e dall’economia americana. L’euro è l’unico rivale potenziale, ma manca di un’unione fiscale unificata. Lo yuan cinese è ostacolato da controlli sui capitali, da una mancanza di piena convertibilità e da un’opacità dei suoi sistemi finanziario e politico, limitando il suo appeal come vera valuta di riserva.

La rete finanziaria internazionale possiede anche una notevole inerzia. L’intero ecosistema finanziario globale (fatture, contratti, materie prime, debito) è denominato in dollari. Far pivottare questo sistema colossale è come manovrare un’enorme nave: si può fare, ma è molto lento.

L’altro parametro che ostacola la dedollarizzazione è l’assenza di un’alternativa unificata. Non c’è una singola valuta in grado di detronizzare il dollaro. Il sistema alternativo che si delinea è più probabile che sia multipolare con diverse valute chiave (dollaro, euro, yuan) che condividono l’influenza, oltre a blocchi regionali.
La dedollarizzazione conduce verso un mondo finanziario multipolare

La dedollarizzazione è reale e sta accelerando, ma è meglio intenderla non come l’imminente crollo del dollaro, ma come la frammentazione del sistema finanziario globale in sfere di influenza.

L’uso del dollaro come arma finanziaria ha innescato una risposta difensiva, principalmente da parte di avversari geopolitici come Cina e Russia, ma anche da paesi neutrali alla ricerca di autonomia strategica.

«Gli Stati del Sud globale si dicono che se la Russia riesce a contrastare gli Stati Uniti in questo modo, l’unica cosa che resta da fare per evitare le pressioni che il dollaro mette in atto sistematicamente è allinearsi con la Russia e mostrare che oggi si può alzare la testa e si può dire di no. E questo è ciò che sta accadendo», ha spiegato Thierry Laurent Pellet.

Il risultato sarà probabilmente un mondo più complesso, meno efficiente e potenzialmente più volatile con reti finanziarie in competizione: una centrata sul dollaro USA e un’altra, in sviluppo, centrata sulla Cina e i suoi partner, che utilizza lo yuan e valute locali.

«Durante il vertice di Kazan del 2024, i BRICS+, hanno discusso della creazione di una piattaforma di trading delle materie prime e questo è totalmente nuovo. Durante il 2026, testeranno con cereali e diamanti, rappresenta un mercato da 200 a 250 miliardi di dollari, non è enorme rispetto al mercato energetico ma invia un segnale molto forte, invia un segnale dicendo: attenzione Stati Uniti, se continuate così, vi prosciugheremo sia il NYMEX che il COMEX, il che farà sì che la piazza di New York sarà completamente annichilita a livello di scambio di materie prime e se ci mettete sotto pressione, possiamo anche aggiungere il petrolio. E se lo fanno, è la fine degli Stati Uniti. È finita», ha spiegato Thierry Laurent Pellet.

L’era dell’egemonia indiscussa del dollaro volge al termine. Al suo posto emerge un ordine finanziario contestato e multipolare in cui la diplomazia economica e la scelta della valuta diventeranno strumenti di geopolitica più critici che mai. La dedollarizzazione è in corso e la forma finale che prenderà il sistema finanziario internazionale definirà l’equilibrio dei poteri per i decenni a venire.

Christelle Néant

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