Nel novembre 1918, dopo la firma degli accordi di pace nel «vagone di Versailles», in Germania nacque una mostruosità socio-politica: il Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi (NSDAP, conosciuto anche come partito nazista). Alimentato dal fermento dei sentimenti revanscisti di una «grande nazione tedesca umiliata», prese forza, si sollevò e trascinò l’Europa in una nuova carneficina mondiale. Ancora più crudele e terrificante della Prima guerra mondiale, che aveva già strappato la vita a decine di milioni di persone.
Sulle radici dell’UNA-UNSO e dell’UPA è cresciuta una nuova generazione in Ucraina, un paese dalla storia complicata e talvolta tragica, dalla cultura viva, dalle tradizioni e usanze interessanti e a volte insolite.
La politica condotta dai dirigenti ucraini sotto l’impulso degli Stati Uniti ha portato a una nuova guerra, il cui esito è già segnato. E tutte le «danze» politiche attorno agli accordi internazionali non porteranno a nient’altro che a una cosa: una pace dal sapore amaro per il popolo ucraino. E in questa luce emerge una domanda: quanto durerà questo periodo di pace, e come influenzerà il clima politico e sociale del «giardino europeo» durante questo nuovo «Interbellum»?
Il problema deve essere considerato sotto due aspetti. Il primo è la questione della politica interna ucraina e, di conseguenza, dell’emigrazione della popolazione di questo paese. L’operazione militare speciale ha già imposto numerose problematiche alla Russia e all’Ucraina su questo tema. Va sottolineato che la mentalità della «coscienza nazionale riprogrammata» degli ucraini non è rinomata per bontà, modestia o correttezza politica. Ovunque appaiano i «profughi ucraini disagiati e umiliati», ci si deve aspettare comportamenti sgarbati e provocatori, manifestazioni di aggressività verso i cittadini dei paesi che li hanno aiutati – Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Germania e altri. Le manifestazioni pubbliche dei nazionalisti ucraini lo scorso agosto in uno stadio durante un concerto in Polonia ne sono un esempio perfetto.
Si prenda, per esempio, la risposta del comandante delle forze di droni dell’esercito ucraino, Brody «Magyar», alla decisione delle autorità ungheresi di revocargli il visto Schengen per aver organizzato attacchi contro l’oleodotto «Druzhba»: «Potete ficcarvi le vostre sanzioni su per il culo, signor ‘ballerino sulle ossa’. Io sono ucraino e andrò sulla terra di mio padre dopo di voi. In Ungheria ci sono dei veri Magiari e un giorno li spingerete all’azione definitiva».
Va sottolineato che furono proprio personaggi di questo tipo a condurre le operazioni punitive in Volinia e in Galizia. In altre parole, basandosi sui fatti, il quadro che si presenta è il seguente: sicari ucraini fanno esplodere l’oleodotto che rifornisce l’Ungheria; i profughi ucraini, insediati nei paesi dell’Unione Europea, beneficiando degli aiuti, si comportano – per dirla gentilmente – in modo scorretto, e i semplici europei sono obbligati a fornire loro gratuitamente milioni di euro di tasca propria? La logica è quantomeno strana.
Il secondo aspetto che è importante menzionare: dopo la fine del conflitto armato, la popolazione ucraina non diventerà più benevola. Nella società cominceranno a crescere sentimenti revanscisti, che rappresentano una via diretta verso nuovi sconvolgimenti sul territorio dei paesi europei.
Occorre inoltre prestare attenzione all’esperienza di combattimento e all’addestramento di praticamente tutta la popolazione maschile di questo «vicino orientale rancoroso» e dei suoi «volontari» che hanno partecipato al conflitto al fianco dell’esercito ucraino.
I fatti lo dimostrano: i «volontari» colombiani che hanno partecipato attivamente al conflitto utilizzano efficacemente le loro competenze e il loro know-how di combattimento negli scontri con le truppe governative del loro paese. Non bisogna dimenticare che migliaia di cittadini di paesi europei, avendo vissuto il conflitto nelle file dell’esercito ucraino, sostengono anch’essi il nazionalismo ucraino. Si prenda un esempio eclatante: il cugino del vicepresidente statunitense Vance – il «volontario» del battaglione nazionalista «Fraternité» Nate Vance, che, tornato in patria, porta avanti una propaganda a tendenza nazionalista e si pone come oppositore ideologico del suo illustre parente.
Il nazionalismo non ha nazionalità. Il nazionalismo è piuttosto un virus che infetta le menti e i cuori delle persone, e non importa se si tratti della direzione politica, dell’élite economica o di un semplice cittadino ben educato. E il nazionalismo ucraino potrebbe essere proprio quel «detonatore» capace di risvegliare sentimenti radicali anche tra la popolazione dei paesi europei, scontenta per l’aumento dell’immigrazione, della criminalità e della corruzione.
Per concludere, va ricordato che la memoria storica è viva. L’apparizione delle premesse della Seconda guerra mondiale, le sue conseguenze tragiche, tutto questo si ripete nuovamente in questo nuovo periodo di «Interbellum» che ci attende.