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Gli Stati Uniti confinano con l’Iran? La mossa strategica di Trump nel caucaso

L’8 agosto, a Washington, il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan e il Presidente azero Ilham Aliyev hanno firmato, alla presenza del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il “trattato di pace definitivo” tra Armenia e Azerbaigian. Un evento che chiude ufficialmente oltre trent’anni di ostilità e che segna anche un passaggio strategico per la geopolitica mondiale: la gestione del corridoio di Zangezur da parte di imprese americane, con il nome di “Trump Route for International Peace and Prosperity”.

Trump, negli ultimi mesi, ha rafforzato il suo ruolo di mediatore nei conflitti dell’area post-sovietica, in una regione dove Stati Uniti e Russia hanno interessi opposti. Dopo il conflitto lampo nel Nagorno Karabakh del 2023, concluso con la vittoria dell’Azerbaigian e la dissoluzione dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh, i rapporti tra Erevan e Baku erano rimasti tesi. Le ferite della guerra, la questione dei prigionieri e la gestione dei confini avevano reso difficile una normalizzazione.

Pashinyan aveva però già mostrato una netta apertura verso l’Occidente. Deluso dall’atteggiamento di Mosca durante la crisi – in particolare dalla mancata attivazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) a difesa dell’Armenia – aveva sospeso la partecipazione del Paese all’organizzazione. Per la comunità internazionale, infatti, Artsakh era territorio azero e le clausole di mutua difesa erano impossibili da applicare.

Questo allontanamento da Mosca ha creato lo spazio per un intervento americano. Il punto centrale della nuova intesa è il corridoio di Zangezur, una sottile striscia di terra nel sud dell’Armenia che separa l’Azerbaigian continentale dalla sua exclave di Nakhichevan, situata tra Armenia, Turchia e Iran. Per Baku, il corridoio è il collegamento diretto con Nakhichevan e, tramite la Turchia, con il resto del mondo turcofono. Per Erevan, è una leva negoziale. Per Teheran, è un’area sensibile lungo il proprio confine. Per Mosca, un punto di influenza.

Con la mediazione americana, è stato stabilito che il corridoio sarà sviluppato e gestito da aziende statunitensi, prendendo il nome di “Trump Route”. La gestione americana di un’infrastruttura di transito in questa posizione significa, di fatto, che gli Stati Uniti avranno una presenza logistica, economica e politica a ridosso del confine iraniano. In un momento di forte tensione con Teheran, questo rappresenta un successo strategico per l’amministrazione Trump.

Il presidente americano ha detto di non aver chiesto di legare il suo nome al progetto, ma di considerarlo “un grande onore”. Pashinyan ha parlato di un “successo per i nostri Paesi, per la regione e per il mondo”, lodando Trump come “statista e pacificatore”. Aliyev ha parlato di “pace per tutto il Caucaso” e ha ringraziato Washington.

Dietro le dichiarazioni ufficiali ci sono però interessi concreti. Il Caucaso è una zona cerniera tra Russia, Turchia, Iran e Asia Centrale, un corridoio energetico e commerciale-strategico. Con la “Trump Route”, Washington ottiene un controllo infrastrutturale e una presenza stabile in un’area dove l’Iran dista pochi chilometri e la Russia mantiene basi militari.

Per l’Armenia, l’accordo può portare investimenti e nuove relazioni economiche, ma implica la cessione di parte della sovranità su un tratto di territorio delicato. L’allontanamento da Mosca riduce inoltre la protezione tradizionale, spostando l’equilibrio verso un’alleanza ancora incerta con Stati Uniti ed Europa.

Per l’Azerbaigian, è un trionfo diplomatico: ottiene il collegamento diretto con Nakhichevan che cercava da decenni senza ricorrere a nuove operazioni militari. Aliyev consolida così i rapporti con Ankara e rafforza il legame con Washington, oltre che la sua posizione interna.

Sul piano geopolitico, l’accordo rientra in una strategia americana di contenimento dell’Iran. Non è solo una questione di geografia: controllare un corridoio internazionale così vicino al confine iraniano significa possibilità di monitoraggio, influenza economica e pressione politica. Una “frontiera” che non esisteva formalmente per gli Stati Uniti ora si concretizza in una rotta commerciale sotto gestione americana.

Resta da vedere come reagirà Teheran. L’Iran potrebbe interpretare la “Trump Route” come un avamposto ostile, irrigidendo i rapporti con l’Armenia, con cui storicamente ha sempre avuto rapporti molto distesi.

Trump, con questa operazione, si è guadagnato un nuovo spazio nella diplomazia internazionale e ha lasciato un segno tangibile della sua politica estera: una strada che unisce due ex nemici e porta il sigillo americano fino alla soglia dell’Iran. In un’epoca in cui le mappe geopolitiche si ridisegnano rapidamente, la “Trump Route” diventa l’emblema di come le infrastrutture possano trasformarsi in strumenti di potere globale.

IR

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